Lo criticano. Chi apertamente e pubblicamente, chi a denti stretti e off the records. Sono disposti, e qualcuno lo ha già fatto, pure a votargli contro facendo naufragare o ritardando riforme su cui il suo esecutivo puntava (emblematico il caso del gestore unico del trasporto). Ma quando c’è in gioco la legislatura – con annessi ruoli e indennità – fanno quadrato: Donato Toma non si tocca, mandano a dire i suoi, se qualcuno può giudicarlo e sfiduciarlo siamo noi e non è oggi il momento.
Il voto sulla mozione di sfiducia al governatore, presentata da 5s e Pd, certifica alle 18.51 del 7 luglio 2020 che la maggioranza ha compiuto un atto di fede: fidarsi appunto di Toma che ha chiesto tempo fino a sabato per mettere in atto gli aggiustamenti degli assetti che i suoi gli hanno chiesto. I rumors di palazzo danno quasi per certa la revoca dell’assessore esterno leghista Marone (qui la volontà degli 11 di maggioranza è unanime) – con una prospettiva di guerra fra il Carroccio e Forza Italia – e l’ingresso nell’esecutivo al suo posto di Aida Romagnuolo (in questo caso mancano tre firme, è il ‘documento degli 8’). Alle spalle la sfiducia e blindato il mandato, se Toma non aggiusta proprio tutto cosa accadrà? Fatta la festa…
Finisce, dunque, con otto voti a favore, un astenuto (Iorio) e 12 contrari. Al dibattito il centrodestra non si sottrae. Parlano i lealisti, gli assessori e i ribelli, che avevano messo nero su bianco il dissenso quando il presidente decise di nominare l’avvocato Marone al posto di Mazzuto nella squadra di governo. Gianluca Cefaratti punta il dito sui dirigenti: la politica deve poter tradurre in atti le proprie intenzioni, serve quindi – dice il vicepresidente del Consiglio – un braccio operativo capace. Non disconosce le critiche che ha mosso, dunque, ma conferma fiducia come negli ultimi 25 mesi a Toma. Non sempre ha condiviso, però quando si è maggioranza ci si tira pizzichi sulla pancia con l’augurio, chiosa, che questo esecutivo e quello futuro tirino fuori il meglio da ogni consigliere.
Pasionaria nel difendere Toma, Filomena Calenda. Che a dicembre contribuì ad affondare il doppio lotto per il bando trasporti (con un emendamento che poi è stato impugnato dal governo). Neanche lei rinnega. «Senza nascondermi ho sollevato obiezioni con l’unico obiettivo di raggiungere il risultato». Ma non è la minoranza che può farle cambiare idea, insomma. «Continuo a riporre fiducia nell’attività di governo di Toma», chiude. E si chiude il sipario.
Vincenzo Niro e Quintino Pallante puntellano i motivi del no visti da Palazzo Vitale. L’assessore ai Lavori pubblici elenca una serie di risultati raggiunti, fra questi (relativi alla delega ai Trasporti che adesso è in capo a Toma ma presto dovrebbe essere riattribuita) conferma che dall’8 agosto Rfi e Trenitalia rimetteranno in esercizio la tratta da Campobasso a Termoli. Si accalora, ingaggia un confronto a distanza (temporale) con il capogruppo 5s Greco. Addirittura ci scappa un ‘mi rompi le p…e’, dell’assessore: intepretazione e attribuzione però sono incerte e contestate.
Il sottosegretario (che sempre secondo i desiderata degli 8 è destinato a entrare in giunta al posto di uno degli assessori di Forza Italia che rileverebbe il suo ruolo) rintuzza le accuse e ribalta la prospettiva: chi prova a far saltare il banco e non ci riesce deve assumersene la responsabilità, «è l’ennesimo fallimento della vostra proposta politica». Il 23 giugno Pallante aveva scherzato con Fanelli e Primiani che avevano in mano la mozione da depositare: se ne presentate più spesso, ci va bene visto che ci compattiamo. Ha avuto ragione, nei numeri. Nel merito poi chissà. Poco prima del voto il capogruppo dei Popolari Andrea Di Lucente apre infatti il suo intervento sferrando un attacco agli assessori, tutti tranne Niro. Non saranno le minoranze a decidere i destini del centrodestra, però. Di Lucente non concederà «passerelle al consigliere Greco» né «all’ex assessore del Comune di Pontecorvo Fanelli». Avverte, come se il pericolo di franchi tiratori ci fosse: «Se non dovessero esserci le condizioni minime per andare avanti chi deve staccare la spina è la maggioranza. La mozione di minoranza è una scelta di comodo che non possiamo percorrere». Il suo no, chiarisce poi, non è approvazione dell’operato e giù ancora le critiche di questi mesi, le stesse e con il tono severo di sempre verso chi si occupava (e si occupa) di lavoro, di turismo, di formazione professionale. A Pallante rimprovera la sconfessione di Fratelli d’Italia, taccia gli assessori forzisti di immobilismo. E chiude: questa è l’ultima spiaggia.
La seconda parte tocca al presidente del Consiglio Micone (vicino alla scadenza di metà mandato): bene l’operato amministrativo di Toma, dice, ma non ci possiamo accontentare. Chiede di utilizzare «di più e meglio gli eletti, assessori e consiglieri» e ridare centralità all’Assemblea. Attacca i partiti nazionali, alcuni – rimarca – hanno esaurito tutti gli sbagli che potevano. Basta imposizioni, dice.
Tutti pensano alla Lega, lui invece attacca platealmente la coordinatrice di Fi Tartaglione: «Non si permetta mai più di dire che il Consiglio deve pensare a lavorare e non alle poltrone». Tutto chiaro: la legislatura può continuare.
ritai

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