Se Amadori si è tirato indietro rinunciando alla ristrutturazione del macello, a cui il gruppo di Cesena si era impegnato con la firma in calce all’accordo di fine febbraio 2017, l’unica soluzione secondo l’ex presidente della Regione Michele Iorio è costituire una società pubblico-privata «che porti a compimento l’accordo di programma da 40 milioni di euro di cui si è parlato al ministero dello Sviluppo Economico». Perché, dice Iorio, «quando non si può più andare avanti bisogna tornare indietro». A rinforzo, una foto delle Biondelle Arena su Fb.
Che accoglienza possa trovare questo suo assunto allo stato del dibattito sulla filiera avicola, con i protagonisti di oggi, è facilmente intuibile. Il vintage, nel 2020, non va di moda. All’ex governatore va riconosciuta però genuina ostinazione, lui tira dritto: «Vista l’incapacità dimostrata dagli amministratori che hanno guidato la Regione dopo di me, questa è l’unica strada che oggi può portare ad un risultato».
E quattro anni dopo i fatti dell’autunno 2016 – quando i beni dell’ex Arena messi in vendita col primo lotto finirono ad Amadori – Iorio è il primo politico a dar voce a un sospetto che qualche osservatore e qualche stakeholder segnalò per tempo: «Nel guardare agli ultimi anni, si ha il sospetto che Amadori potrebbe aver finto di interessarsi al nostro settore avicolo solo per evitare concorrenza di mercato che derivasse dal marchio Arena prodotto in Molise». Il marchio era stato rilevato a giugno dalla Dasco di Roseto degli Abruzzi, che poi si aggiudicò il fitto dell’incubatoio. Solo il tempo di contrattualizzare le maestranze Gam impiegate all’impianto che produceva uova per Aia, con cui Dasco aveva un contratto per la produzione di carne avicola nel macello di Monteverde, e all’asta per l’acquisto risponde pure Amadori, rilancia una prima volta e poi una seconda. Nove milioni per beni desueti, da rifare, tanto che per ristrutturare l’incubatoio ha poi ricevuto pure 2,5 milioni del Psr. Poi il passo indietro sul macello: bando per il secondo lotto in ritardo e indigesto, inadempimenti di Regione e curatele, hanno spiegato da Cesena. Intanto, però, il progetto Dasco-Aia è naufragato.
Altri imprenditori non si sono fatti avanti, prosegue Iorio, perché «se si dispone la vendita di metà stabilimento e l’altra metà deve andare a gara, quale imprenditore investirebbe mai i suoi soldi nell’acquisto non sapendo se poi vincerà la gara?». L’unica via d’uscita, insiste, è «che la Regione torni ad occuparsi di polli». Quindi, propone, «attraverso le politiche attive del lavoro si deve ridurre il numero dei lavoratori» e «la nuova società pubblico privata deve realizzare un nuovo macello. Se ciò non avverrà siamo destinati a far esplodere una vera e propria bomba sociale».

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