Caro direttore, ho letto con vivo interesse e sincero apprezzamento il suo editoriale pubblicato ieri sulle colonne di Primo Piano dal titolo “Il Molise è morto”. Ne ho condiviso l’analisi, le legittime preoccupazioni e il grido d’allarme che emerge dai dati statistici pubblicati dall’Istat che certificano il declino demografico della nostra Regione.
Come lei certamente sa, sono sempre stato uno strenuo sostenitore dell’autonomia regionale. Lo sono stato perché profondamente convinto che il Molise avesse le risorse produttive, sociali ed economiche – oltre ad una classe politica attenta e preparata – per camminare da solo sulle proprie gambe.
E tuttavia, a distanza di poco più di un anno dallo scoppio emergenza Covid, occorre prendere atto che il mondo è cambiato e che ci troviamo dinanzi ad una situazione che non siamo più in grado di fronteggiare singolarmente. Occorre umiltà e senso di responsabilità per ammettere che da soli non ce la possiamo fare. Il perché è presto detto e si può riassumere in estrema sintesi così: non siamo in grado di gestire un’impennata dei costi di tali proporzioni a fronte di una riduzione dei trasferimenti statali che sono sempre meno in funzione della decrescita demografica della nostra Regione. Non è un caso se negli ultimi anni il Molise ha visto l’accorpamento con altre Regioni di importanti enti territoriali e istituzioni come Ferrovie, Anas, Comandi militari, eccetera. Tutti segnali precursori di una tendenza che l’emergenza Covid ha ulteriormente accelerato e reso ancor più evidente.
E ancora. In questi lunghi mesi di emergenza pandemica il Molise si è tenuto sostanzialmente in piedi in primis grazie alla tenacia del tessuto imprenditoriale molisano che, nonostante gli esigui ristori stanziati a fronte di altisonanti annunci, ha dimostrato una capacità di resilienza encomiabile. In secondo luogo, grazie alla caparbietà e al coraggio dei singoli cittadini molisani che hanno affrontato stoicamente, con dignità e rispetto delle regole, una situazione drammatica e unica nel suo genere.
Una situazione che ha reso oltremodo evidente il fatto che una serie di servizi essenziali non siano più gestibili da soli. Il Covid ha dimostrato, ad esempio, come le Regioni non siano in grado di gestire singolarmente un’emergenza sanitaria come quella in atto. Ecco perché, da più parti, si è palesata la necessità di procedere ad un ri-accentramento a livello nazionale di servizi essenziali come la sanità, in linea anche con le raccomandazioni in materia dell’Unione Europea. Necessità che, per quanto riguarda il Molise, è già una realtà da decenni se si considera il lungo commissariamento tuttora in corso e che, come lei ha ben descritto nell’editoriale pubblicato lo scorso 15 aprile, più che agli interessi dei cittadini molisani risponde a regole dettate dagli orientamenti politici dei Palazzi ministeriali romani.
Che fare, dunque? Tocca certamente al Consiglio regionale, massima espressione della democrazia di questa terra, tornare ad immaginare il futuro della Regione. Senza false speranze ma senza nemmeno abbandonarsi alla rassegnazione. A cominciare dal discutere seriamente sull’accorpamento del Molise con un’altra Regione, come ad esempio l’Abruzzo cui siamo legati da una comunanza di storia, valori, tradizioni e morfologia del territorio. Una possibilità, quest’ultima, per ridurre i costi garantendo al tempo stesso migliori servizi e, se possibile, cercando di porre un serio freno all’impoverimento demografico in atto. Il tutto all’interno di una solida cornice meridionale che guarda ai fondi europei e al Recovery Plan come mezzo per invertire la rotta e puntare con decisione alla crescita e allo sviluppo.
Si tratta di scelte da adottare subito, onde evitare – ancora una volta – che le decisioni strategiche sul futuro del Molise vengano calate dall’alto e imposte “in via d’urgenza”, senza alcuna concertazione con i destinatari.
Lo sviluppo delle Regioni storicamente più arretrate come il nostro Molise – e oggi maggiormente colpite dagli strascichi economici e demografici della crisi pandemica – non è più solo una questione di giustizia sociale e territoriale, ma è soprattutto una questione democratica, che non può essere ulteriormente elusa o rinviata. Che sia chiaro a tutti. Al Sud, in Italia, in Europa.
Aldo Patriciello
Eurodeputato

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.