Donato Toma si è dimesso ieri da commissario della sanità del Molise. A Palazzo Chigi e ai ministeri di Economia e Salute ha comunicato che non si occupa più del piano di rientro. Circolavano, insistenti, voci di una sua imminente sostituzione da parte del Cdm (con il sub Bonamico più che con il neo presidente della Regione Roberti). In tal caso, Toma ha anticipato Meloni.
Donato Toma toglie il disturbo anche dal terzo piano di Palazzo Vitale…
«Io direi diversamente ma comunque sì, ho lasciato l’incarico di commissario. È una decisione che ho preso con assoluta serenità e senza tentennamenti. Sa perché? È arrivato da Roma, dal Ministero, un parere che avevo chiesto insieme al sub Bonamico sul pagamento dell’extrabudget alle cliniche di minori dimensioni, che sono convenzionate con l’Asrem. Il parere, ancora una volta, è negativo. Quindi ho insistito: ma perché per i grandi erogatori privati (Neuromed e Gemelli che hanno rapporti diretti con la Regione, ndr) siamo stati autorizzati a pagare e adesso no? Mi hanno risposto che nel primo caso c’è una sentenza che dà ragione alle strutture e che quindi anche per i “piccoli” vale lo stesso, devono fare ricorso e vincere la causa. A questo punto, mi scusi, non credo valga più la pena. Io voglio poter uscire per strada con la mia famiglia senza subire le accuse, legittime, degli imprenditori della sanità privata che hanno crediti incagliati e quindi si trovano in difficoltà».
Il commissario ha quindi le mani legate? Ruolo scomodissimo per un presidente.
«Io per tre anni, da presidente della Regione, ho lottato per far cambiare le regole sull’extrabudget e in particolare per i pazienti extraregionali. Quando sono diventato anche commissario, ho chiesto aiuto ai miei interlocutori politici per modificare le normative del settore. Loro avrebbero voluto che io le violassi… Evidentemente, poiché le leggi non sono state cambiate, non sono stati all’altezza di interloquire con il governo nazionale e di incidere. Da commissario io non ho fatto altro che applicare le direttive dei Ministeri, seppure non mi sembravano giuste. Ho sbattuto i pugni, contestato. Ma non è servito».
Non ci sta a uscire di scena come il commissario in conflitto con le cliniche quindi.
«Perché non è vero. Checché se ne dica, io ho combattuto per allargare le maglie nei confronti dei privati, ma non c’è stato verso. I commissari sono tra l’incudine, il Ministero, e il martello che sono le strutture. Ho provato poi a incidere sul sistema pubblico. Da cinque mesi è fermo sul tavolo dei Ministeri, in attesa del via libera, il nuovo piano occupazionale dell’Asrem».
Si è fatto un’idea del perché? È un problema politico forse?
«Nei miei confronti posso sospettare che sia anche un problema politico. Ma gli stessi ostacoli li hanno trovati Giustini e Grossi, Degrassi e Tomasella e poi io e Papa. Quando Draghi mi nominò chiesi uomini e mezzi. Poi il governo cadde e l’unica cosa che sono stati in grado di fare è stato togliermi il sub Papa, evidentemente pensavano che mi condizionasse. Ma non era affatto così. Tanto che il nuovo sub, Bonamico, ha seguito le stesse regole: firma solo in presenza di mandati da Roma e pareri».
Al di là dello specifico molisano, perché è così difficile ottenere una modifica alle regole sul pagamento dell’extrabudget?
«Le Regioni non si mettono d’accordo. Ci sono interessi troppo grandi altrove probabilmente».
No regrets, come dicono gli inglesi?
«Nessun rimpianto. Alla mia regione, ai suoi imprenditori, io tengo. Non posso uscire con i miei familiari e sentirmi accusare da chi opera in sanità che, ripeto legittimamente, lamenta le conseguenze nefaste di questa situazione. Io ho cercato di cambiarla ma non c’è stato verso. Non mi è stata data poi neanche la possibilità di essere giudicato dall’elettorato. Per cui questa esperienza per me finisce qui…».
r.i.

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