Un’intervista lunga, articolata, ma che va necessariamente letta tutta d’un fiato. Va letta perché il direttore generale dell’Azienda sanitaria parla di cose “vere”, di argomenti con cui i molisani hanno a che fare tutti i giorni. Parla di difficoltà, dello stato dell’Asrem che a fatica prova a ripartire ma che sostanzialmente sconta i problemi di numerose altre aziende in Italia.
Ne ha per tutti, Di Santo. Anche per i furbetti, che sistematicamente sfuggono alle proprie responsabilità. Ma il dg sa di poter contare su numerosi professionisti che fanno dell’impegno una ragione di vita.
Racconta, poi, del suo «straordinario» rapporto con il presidente Roberti che «non chiede, non prevarica» ma «offre soluzioni».
E, ancora, il concetto di squadra, i primi passi mossi, la necessità di motivare i lavoratori e garantire loro le migliori condizioni di benessere. Il lusinghiero giudizio sul popolo molisano e una sorta di patto da stipulare con lo stesso, che non prevede stravolgimenti ma piuttosto il coinvolgimento, la proposta e nessuna promessa.
Tanta, tanta roba che lascia ben sperare in un futuro meno faticoso per chi ha necessità di cure.
Ormai da un po’ di mesi in Molise. Svesta per un attimo i panni del direttore generale dell’Azienda sanitaria. Che idea si è fatto di questa terra e della sua gente?
«Sicuramente il territorio molisano è straordinario, affascinante, ed olograficamente diverso. Direi addirittura di-verso, poeticamente parlando. Nel senso che è un territorio fatto di gente coriacea, battagliera, di gente sana che ricorda la mia gente, quella sannita. Proveniamo quindi dalla stessa genia. È abitato da persone che si battono per il riconoscimento delle proprie idee e dei propri diritti costituzionalmente sanciti, tra i quali, il più importante, è il diritto alla salute. È per questo che, nel ruolo che ricopro da direttore generale dell’Asrem, ho il dovere di garantire la salute, nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione italiana che sancisce equità ed universalità del diritto alla salute. Ed io cerco e cercherò di rispettare non solo la Costituzione, ma soprattutto i cittadini molisani affinché raggiungano quello che è, appunto, un diritto costituzionalmente garantito».
Tra l’altro, pochi lo sanno, da giovanissimo medico ha svolto il ruolo di vice primario presso l’allora glorioso “Santissimo Rosario” di Venafro.
«Ero sicuramente giovanissimo, 30 anni. Ho svolto la funzione di aiuto medico di Pronto Soccorso. Allora, la gerarchia era costituita da assistente, aiuto e primario. Penso di essere stato tra i più giovani aiuti-medici in Italia grazie all’aver vinto, al Santissimo Rosario, un avviso a tempo determinato per sostituzione del vice primario. È stato un periodo gratificante, molto bello, poiché ho conosciuto gente vera, dedita al lavoro, che svolgeva la propria professione con etica, correttezza e professionalità. Ho portato con me questi valori e sono rientrato nella mia terra, nel Beneventano, dove ho continuato nel mio ruolo di “aiuto” per poi diventare direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna all’età di 37 anni».
Senza entrare nel particolare perché rischiamo di non farci comprendere ma anche di annoiare i lettori, in che condizioni ha trovato l’Azienda al suo arrivo?
«Ho travato una Azienda che, come tante altre in Italia, era destrutturata dal periodo pandemico, ma soprattutto statica e demotivata, a tratti rassegnata per l’assenza di un controllo strategico e di una reale programmazione sanitaria.
Il governo delle liste di attesa è stato un argomento prioritario ed immediato del mio mandato. Già all’inizio di ottobre, qualche giorno dopo il mio insediamento, abbiamo costituito una cabina di regia che potesse dar senso e logica ad una corretta prenotazione, garantendo visite nel rispetto dei codici di priorità e delle urgenze. Mettere mano alle agende è stato difficile: abbiamo dovuto riconfigurarle perché gli stessi tempi della visita, e della prestazione in genere, potessero essere omogeneizzati e standardizzati su tutto il territorio regionale, impedendo che, ad esempio, la stessa visita cardiologica, fatta dallo stesso medico, per una stessa patologia, potesse avere un tempo di 20 minuti a Campobasso e magari di un’ora a Termoli. Stiamo poi inglobando le agende del privato accreditato per dare uniformità, velocità ed appropriatezza alle prestazioni da erogare. Abbiamo potenziato le linee telefoniche per aumentare notevolmente le chiamate agli utenti con un sistema di recall automatico che desse anche la possibilità di effettuare fino a 2mila telefonate al giorno. Un lavoro estenuante che grazie alla dedizione, alla volontà e alla passione dei medici e dei responsabili della cabina di regia, sta dando un risultato importante. Tanto che, oggi, possiamo dire che i codici di priorità sono rispettati. Abbiamo poi dato impulso al controllo di gestione, al Nucleo per l’Appropriatezza Prescrittiva, all’HTA, al Nucleo Ispettivo, abbiamo riaperto sin dal mio insediamento la camera iperbarica a Larino, ristrutturato il Pronto Soccorso del Cardarelli di Campobasso, avviato le procedure per l’elisuperficie al nosocomio del capoluogo, e tante altre cose nel segno di una riorganizzazione e rimodulazione della sanità molisana».
In questi mesi è stato fatto tanto. Ma molto del tanto è roba da addetti ai lavori. All’utente capita ancora, purtroppo, di prenotare una visita – è ovviamente un esempio – e di sentirsi indicare una data improponibile rispetto alle esigenze di salute. Come ne usciamo?
«Può capitare che andando a prenotare una visita ci si trovi davanti qualche addetto al Cup, servizio esternalizzato, che non sia stato ben formato. E purtroppo, in questo caso, potrebbe fornire delle informazioni errate rispetto al sistema. Ovviamente stiamo rivedendo anche queste attività, a partire proprio dalla formazione degli operatori. È comunque indiscutibile che la difficoltà nella erogazione sia data anche dalla carenza di medici specialistici (pneumologi, cardiologi, ecc) e soprattutto della appropriatezza prescrittiva per la quale abbiamo attivato un nucleo di valutazione per garantirla».
Quale la cura per la sanità molisana? Basta il trinomio “pubblico-privato-Università”?
«Ho più volte parlato di “trinomio”, affermando che il pubblico, associato al privato accreditato e all’Università, che funge da collante tra i due, possa rappresentare un eccellente laboratorio di sanità in una regione piccola come il Molise. La sinergia ospedale-territorio e privato accreditato e l’integrazione con l’Unimol potrebbero essere volano di rilancio della sanità molisana e sopperire a tante criticità: dalla garanzia delle reti emergenziali alla maggiore offerta specialistica sanitaria. Insomma, da una parte il pubblico che va a garantire l’urgenza-emergenza territoriale e dall’altra una specialistica di alta fascia assicurata dalle attività del privato accreditato, tutto in sinergia con l’Unimol che attraverso la formazione degli specializzandi diventa fondamentale collante per costruire un “laboratorio sperimentale” esportabile in altre realtà nazionali».
Ha notato che una parte della politica regionale mostra molta acredine nei confronti della sanità privata accreditata?
«Non penso che un contrasto tra il pubblico ed il privato possa essere utile alla comunità e alla salute dei molisani. Ritengo, invece, che il giusto equilibrio tra le parti diventi un punto di forza. La sanità privata è una realtà in Molise e sicuramente non può essere ignorata dovendo occupare gli spazi specialistici e integrarsi sintonicamente e sinergicamente al fine di garantire una offerta sanitaria a 360° all’utenza regionale ed extraregionale».
La carenza di personale e in particolare di medici. Come fare, direttore, per convincere i suoi colleghi a non snobbare i concorsi?
«È una criticità che esiste in tutte le regioni di Italia per una cattiva programmazione universitaria dell’accesso al corso di medicina ed ancor più alla specializzazione. Noi paghiamo uno scotto maggiore perché facciamo parte di un entroterra dove anche la vita sociale è meno fluida rispetto alle grandi città. Potrebbero nascere, per i giovani medici, dei dubbi sulla qualità di vita in un certo territorio rispetto ad un altro. Pertanto, oltre alla possibilità di lavorare bisogna garantire, a chi decide di venire in Molise, una qualità di vita migliore, che va dalla ricerca di spazi di crescita e di socialità, alla facilità di comunicazione attraverso trasporti più veloci. Condizioni che diventano una conditio sine qua non per creare maggiore attrattività. Intanto, cerchiamo di sopperire a tante criticità puntando su una formazione adeguata. Su questo gioca un ruolo importante l’accordo esistente tra Asrem e Unimol perché i futuri professionisti vengano in regione a “prepararsi” come se stessero in un campus, studiando con la prospettiva di un immediato inserimento nel mondo lavorativo. Insomma, una formazione che diventi forma ed azione. In definitiva una formazione che, gioco di parole, dia forma ed azione ad una sana sanità regionale».
Quanto conta il concetto di “squadra” nella sua filosofia lavorativa?
«Sono un aziendalista per caratterizzazione culturale e morale e comprendo che solo attraverso un gioco di squadra si può costruire una migliore qualità della salute in regione. E la nostra squadra è coesa e collaborativa, attenta ai bisogni di ciascuno. C’è poi un link molto importante con la Direzione della Salute e la Struttura Commissariale con i quali strutturiamo tavoli tecnici dedicati alle criticità che quotidianamente si presentano».
Quante ore trascorre al giorno in ufficio il dg dell’Asrem?
«Lavoro per l’Asrem praticamente sempre, da mattina a sera, con accanto i miei due straordinari collaboratori: il dottor Bruno Carabellese, di cui tutti conoscono le qualità professionali, umane e morali, ed il direttore amministrativo, Grazia Matarante, professionista di elevato spessore culturale e professionale con lunga esperienza nella direzione amministrativa di enti sanitari.
Sono un breve dormitore, quindi, trascorse le mie quattro ore di sonno, sono nuovamente operativo».
Più soddisfazioni o più delusioni?
«Non è possibile una soddisfazione se non c’è anche una delusione. Non è possibile una delusione se non c’è una soddisfazione. È il gioco della vita, ma sicuramente le soddisfazioni arrivano e gratificano ogni giorno il nostro percorso lavorativo. È un po’ come quando facevo il medico: il sorriso di un paziente diventava importante per una carezza alla propria autostima. Così, in questo ruolo di direttore generale, vedere raggiunti dei risultati, come il restyling del Pronto Soccorso, piuttosto che il governo delle liste di attesa, o il miglioramento delle attività che quotidianamente si svolgono al servizio della comunità, diventa un motivo per poter proseguire. Sono queste le soddisfazioni che rendono sempre più affascinante, straordinario ed accattivante il nostro ruolo».
Lo sa che negli ospedali ci sono tanti, tantissimi professionisti – molti giovani – che meritano di essere incoraggiati e valorizzati, ma c’è qualcuno che, purtroppo, non fa fino in fondo il suo dovere (per essere buoni)? Ogni tanto lo fa un giro nei reparti, magari durante la notte? Non crede serva un po’ di coraggio in più per mettere in riga i furbetti?
«Gli ospedali sono fatti di persone prima ancora che di medici, di infermieri, di Oss o ausiliari, e come tutti noi anche loro possono avere momenti positivi o negativi nello svolgimento della propria attività lavorativa. Penso sia importante stanare i “furbetti” e per questo abbiamo istituito il Nucleo Ispettivo, ma prima ancora ritengo sia importante motivare e rendere accattivante il lavoro di ognuno. È di questi giorni la stabilizzazione di circa 130 infermieri e di tante altre figure professionali e la valorizzazione del personale attraverso la firma congiunta con i sindacati del primo ed unico Contratto Integrativo dell’Asrem con il regolamento per il sistema degli incarichi di posizione e di funzione. Con questo anche i “furbetti” non possono trovare giustificazioni e, nel rigore morale e mentale che mi contraddistingue, non possono essere più giustificati».
Il presidente Roberti a poche settimane dal suo insediamento affermò che rispetto alla popolazione sono addirittura troppi coloro che operano alle dipendenze dall’Asrem. È così o il presidente aveva avuto informazioni sbagliate?
«Il presidente Roberti sicuramente aveva contezza di ciò che diceva ed io sono convinto che pur non essendo tanti siamo sufficienti a poter garantire una sanità migliore. Dobbiamo certamente condizionare il risultato alla necessità di stanare eventuali persone che sono in luoghi privilegiati per far sì che per aver il miglior risultato lavorino tutti e lavorino con i giusti carichi di impegno, per poter andare avanti in maniera sinergica».
È vero che con il presidente Roberti ha un rapporto schietto e sincero che lei ama definire «straordinario»? E perché, da cosa trae spunto tanta stima?
«Con il presidente Roberti ho un rapporto che dico essere straordinario perché si basa su una stima reciproca, su una correttezza reciproca, su un rispetto reciproco. Lui sa bene che tutto ciò che faccio è nell’unico interesse di voler fare bene il bene della comunità molisana. Non ho retropensieri, non ho condizionamenti e non condiziono la mia mente, ma lavoro dalla mattina alla sera solo ed esclusivamente per la comunità che il presidente Roberti ben governa. Non tradirò mai le sue aspettative perché sono aspettative sane, che non prevedono richieste ma solo soluzioni, non prevedono priorità e prevaricazioni ma poter equamente fare il meglio per la salute dei molisani».
Le dice qualcosa “Cervello da leader: il potere delle emozioni”?
«Nel percorso della mia vita professionale ho sempre cercato di coniugare la mia esperienza lavorativa alle mie attitudini anche culturali. Per questo motivo ho cercato una correlazione tra la mia nuova esperienza manageriale, prima da direttore sanitario aziendale ed attualmente da direttore generale, ed i miei studi neurologici ed internistici. Ho cercato quindi un nesso specifico tra management e leadership tra comportamento ed intrigo neurochimico cerebrale, ovvero, ho spiegato come le emozioni giocano un ruolo fondamentale nel governo strategico aziendale e nei cambia-menti intelligenti di una società globalizzata, complessa e multiculturale ed in continua evoluzione al fine di assicurare salute e benessere. Da qui scaturisce questo mio testo che parla di approccio empatico, per arrivare a concepire l’idea che è necessario “realizzare il benessere degli altri per realizzare il benessere di se stessi”».
Tre figli che hanno seguito le sue orme e che le stanno dando grandi soddisfazioni. Carriera brillante, posizione invidiabile. Ha mai pensato: chi me lo ha fatto fare di lasciare tutto per il Molise?
«Tre figli: Danilo, Andrea, Piergianni. Il primo specializzando in radiologia, il secondo in chirurgia generale con una formazione a Chicago in chirurgia robotica e l’altro specializzando in ortopedia. Tre ragazzi che hanno scelto di seguire questa carriera. Ritengo che il medico sia la professione più bella che si possa svolgere, perché è disponibilità verso il prossimo, è una missione insostituibile nel fare il meglio per coloro che soffrono. Non ho mai interferito sulla loro formazione, li ho seguiti sempre da lontano. Probabilmente ha avuto un peso la “scuola familiare”, poiché pure mio fratello è medico e così tutti i miei nipoti. Quindi costituiamo una famiglia che si dedica al prossimo e lo fa con amore e con dedizione. Non abbiamo mai anteposto le nostre persone o i nostri personalismi, ma abbiamo sempre cercato di seguire l’educazione ricevuta, trasferita ai miei figli e che è quella della correttezza, della serietà e del rigore morale.
Tutto ciò che ho fatto nella vita, compreso il venire in Molise, è motivo di soddisfazione, motivo personale di orgoglio e non ho mai pensato di aver fatto qualcosa lasciandolo al caso. Sono venuto in regione perché mi sento un molisannita, un sannita adesso adottato dal Molise. Sono venuto qui con la consapevolezza di svolgere un compito arduo e difficile ma al tempo stesso intrigante e spero gratificante. Cercherò di restare il tempo che mi sarà consentito per lasciare, comunque, una traccia positiva del mio passaggio».
Considerato il suo impegno a voler cambiare le cose, se la sente di stipulare un patto con i molisani?
«Sono cosciente che il cambiamento è qualcosa di difficile poiché ogni cambiamento genera una turba psicologica, in quanto geneticamente determinata ed emotivamente generata. Il mio patto con i molisani è quindi: sostenere il cambiamento, cercando di coinvolgere piuttosto che stravolgere, proporre piuttosto che imporre, modellare piuttosto che trasformare, garantire piuttosto che promettere».
Luca Colella

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