Nel 2023 in Molise si sono registrati 13 nuovi casi di infezione da Hiv, il doppio rispetto a quelli dell’anno precedente (6).
Di questi, 8 sono stati riscontrati tra cittadini italiani (61,5%), 5 tra stranieri (38,5%). L’incidenza (il rapporto fra casi e popolazione) delle nuove diagnosi Hiv – si legge nel documento – è diminuita dal 2012 al 2020, mentre dal 2021 al 2023 si è osservato un aumento progressivo. Quello più significativo dopo il 2020 è stato rilevato nella fascia di età 40-49 anni e nella trasmissione eterosessuale. Nel 2023 più di un terzo delle persone con nuova diagnosi Hiv ha effettuato il test in seguito alla presenza di sintomi o patologie correlate al virus e un quinto lo ha eseguito in seguito a comportamenti sessuali a rischio di infezione.
I dati emersi dalla nota di aggiornamento delle nuove diagnosi pubblicata dal Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità hanno destato clamore e qualche preoccupazione.
La responsabile del reparto di Malattie infettive del Cardarelli di Campobasso Alessandra Prozzo però ridimensiona l’allarme e spiega che andando indietro nel tempo, prima del 2022, il numero di casi «si attestava sempre intorno ai 10, 12, 15, qualche volta anche qualcosa in più».
È fondamentale, però, battere sul tasto della prevenzione e della necessità di sottoporsi allo screening.
«La prevenzione si può fare facendo sesso sicuro, quindi con l’utilizzo del condom, e soprattutto è importante testarsi, cosa che purtroppo la popolazione in generale fa molto poco. Sono tutti abituati – le parole della dottoressa Prozzo – a fare ogni anno l’emocromo o altri tipi di controlli ematochimici, ma non si effettua il test anti Hiv. Quindi, c’è un sommerso che noi non conosciamo e che purtroppo in una percentuale di casi troppo alta viene fuori soltanto quando ci sono i sintomi della malattia, a volte addirittura quando la malattia è nella fase più avanzata della sua espressione e quindi ci troviamo già di fronte al paziente che ha l’Aids. Questo comporta grossi problemi dal punto di vista del trattamento perché in quella fase la diagnosi e la terapia anti virale che abbiamo a disposizione, una terapia altamente efficace che ha cambiato radicalmente la storia naturale dell’infezione dal 1996 ad oggi, ovviamente va modulata in una maniera molto attenta perché paradossalmente in quelle fasi così avanzate di malattia può essere responsabile di una serie ulteriore di manifestazioni».
La gran parte delle diagnosi, dunque, arriva tardivamente. Il che non implica «l’impossibilità di fare il trattamento, la terapia si effettua in ogni caso, ma quando la diagnosi è tardiva, e in particolare quando la diagnosi di infezione da Hiv coincide con quella di Aids quindi c’è la manifestazione clinica maggiore, siamo in una fase molto delicata, siamo nel momento in cui il paziente ha completamente distrutto il proprio sistema immunitario ad opera del virus e quindi indurre una risposta al trattamento anti virale è estremamente complesso».
L’Organizzazione mondiale della sanità ha fissato l’obiettivo della fine dell’epidemia Aids entro il 2030. Però, conclude Prozzo, «se continuiamo a fare questo numero di nuovi casi, personalmente il raggiungimento di questo obiettivo non lo vedo così scontato. Bisogna continuare a lavorare tantissimo sulla prevenzione e sulla consapevolezza. Se c’è un sommerso è un sommerso che non solo accede tardivamente alle cure ma, pur inconsapevolmente, continua a diffondere l’infezione».
Antonio Auricchio, dirigente medico delle Malattie infettive all’ospedale pubblico regionale di Campobasso, aggiunge: «Abbiamo l’abitudine di seguire i pazienti più volte l’anno, in questo modo diventiamo il loro punto di riferimento anche per altre infezioni. Loro devono essere costantemente monitorati e mese dopo mese si sceglie la terapia più adeguata. I soggetti con infezione da Hiv sono chiamati ad assumere la terapia tutti i giorni perché è un’infezione trattabile ma non curabile. Già da un anno e mezzo – riferisce ancora – è arrivata anche in Molise la terapia long acting, i soggetti con infezione da Hiv possono fare la terapia intra muscolare ogni due mesi.
Bisogna normalizzare questa infezione perché è come mille altre, si vive tranquillamente, l’aspettativa di vita, se viene effettuata presto la diagnosi, è quasi sovrapponibile a quella di una persona senza infezione. Anche così si abbatte lo stigma che loro un po’ ancora purtroppo i malati percepiscono».
ppm

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