Nel 2017 i ricoveri di molisani fuori regione sono stati 13.695. Il Molise che fugge dai suoi ospedali abita prevalentemente a Termoli (1.821 prestazioni delle oltre 13.600 totali), a Campobasso (1.757), Isernia (1.085). Se anche ci si fermasse qui, questi dati basterebbero a sfatare il mito dell’ospedale sotto casa.
Certo, incide anche il dato demografico: più abitanti, statisticamente più ricoveri dentro o fuori i confini. Staccate infatti le altre realtà: Montenero di Bisaccia (615 ricoveri), Venafro (599), Campomarino (472), Larino (336), Guglionesi (272).
Per le patologie acute, quelle che non mettono comunque in pericolo la vita (in quel caso entriamo nel campo delle reti tempo dipendenti) non serve un ospedale vicino, ma un ospedale che funziona, che è percepito dai cittadini come presidio adeguato alle cure. O anche, e questo è un aspetto tanto vero quanto poco indagato, un ospedale in cui i medici, di base e non, indirizzino i pazienti.
Due anni fa, numeri inseriti dai commissari Giustini e Grossi nel programma operativo 2019-2021, la mobilità passiva è costata alle casse della sanità regionale 80.5 milioni: un dato in crescita.
Dove vanno i molisani a curarsi? Prevalentemente in Abruzzo (4.445 ricoveri sugli oltre 13.600 complessivi), Lazio (2.960), Campania (1.456), Puglia (1.410), Emilia Romagna (1.096).
Numeri destinati a salire, visto che lo stesso piano della struttura commissariale di via Genova dirotta proprio in Puglia (Ospedali Riuniti di Foggia) e in Campania (Rummo, Cardarelli di Napoli e Santobono) i casi più complessi di ictus e politraumi.
Per cosa vanno a curarsi fuori i molisani? Le discipline meno attrattive (o più respingenti) sono Ortopedia, Chirurgia, Urologia, Ostetricia e Ginecologia: in queste branche ci si rivolge altrove anche per problemi di bassa complessità e pur se si tratta di prestazioni offerte dai nostri ospedali. Si pensi alla mobilità verso Vasto per i parti. Non è un caso che si tratti anche di alcune delle specialità che soffrono maggiormente la carenza di personale negli ospedali pubblici: senza ortopedici è difficile essere attrattivi e fermare la fuga di pazienti.
Come interviene il piano dei commissari sul recupero della mobilità passiva? Con affermazioni di principio. Per esempio, nel capitolo dedicato alle strutture private accreditate, con riferimento particolare alla Fondazione Giovanni Paolo II (oggi Gemelli Molise Spa) e al Neuromed si attribuisce ai privati accreditati un ruolo preminente anche in funzione del recupero della mobilità passiva. Ma resta lì. Perché, una paginetta dopo, il recupero della mobilità passiva «passa attraverso il miglioramento della performance pubblica». I commissari si impegnano a monitorare le procedure di reclutamento dei primari, approvate dall’Asrem a fine agosto e ora in corso. E chiedono all’azienda di dotarsi di «spiccate professionalità che, congiuntamente ad azioni di riorganizzazione dell’offerta di servizi accompagnate da un’efficace informazione ai cittadini, potranno essere in grado, negli anni seguenti, di fungere da punto di riferimento per i pazienti regionali, nonché divenire fattore di attrattività per i pazienti che al momento utilizzano il sistema sanitario di altre Regioni». Vogliono primari bravi e motivati. Verranno, e quanti, a lavorare in una sanità che, per esempio per gli ortopedici, ha il vertice della piramide al Cardarelli di Napoli o per gli ictus al Rummo di Benevento?
Queste le azioni indicate (non in maniera esaustiva) per recuperare la mobilità passiva: aumentare i posti letto di Ortopedia, attivare la procreazione medicalmente assistita (anche per rispettare i nuovi Lea), elaborare il piano Asrem definitivo del governo delle liste d’attesa.
Sull’apporto dei privati, nessun cenno nel capitolo dedicato al recupero della mobilità passiva.
Nel capitolo sui rapporti coi privati invece si torna all’affermazione di principio, peraltro rintracciata negli obiettivi del programma operativo straordinario 2015-2018: un complessivo rapporto che consenta anche «l’assorbimento della mobilità passiva extraregionale».
Giustini e Grossi stabiliscono fra l’altro che «il tetto di remunerazione sia stabilito come invalicabile, sia per le prestazioni rese ai residenti in Molise, sia per i residenti in altre Regioni». Si tratta, probabilmente, del no all’extrabudget dei privati annunciato dal capogruppo dei 5 Stelle Greco nell’assemblea dei comitati a Isernia.
Bene. Ma non è chiaro comunque come i commissari nominati proprio dal governo gialloverde e su spinta decisiva dei 5 Stelle intendano ridurre la mobilità passiva utilizzando anche i privati. Peraltro un emendamento al decreto fiscale in corso di conversione aumenta del 10% la possibilità (economica) di acquistare prestazioni da strutture sanitarie convenzionate. Mentre si trovano i primari migliori si potrebbe utilizzare i privati che hanno gli ortopedici, per esempio. E non è detto che siano i privati più grandi, che i pentastellati molisani puntano a ridimensionare.
Un’altra cosa è più chiara nel programma operativo, non straordinario, di Giustini e Grossi: che dai privati in questi tre anni la Regione Molise acquisterà meno prestazioni, per un valore complessivo di 5.6 milioni. Stretta sul budget, quindi, e non solo sull’extrabudget.
Patologie tempo dipendenti prevalentemente fuori regione e meno soldi ai privati: un connubio che sembra destinato ad aumentare la mobilità passiva. Il tetto per le cure agli extraregionali, al contrario, ridurrà quella attiva, i soldi che cioè arriveranno al Molise per esempio dalla Campania. Che ne incasserà di più per curare anche i nostri politraumi e gli ictus non trattabili al Cardarelli di Campobasso. Eh già: bastava applicare alla lettera il decreto Balduzzi…
rita iacobucci

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