Il braccio di ferro è iniziato con la nota sul blocco delle attività chirurgiche. Sette primari del Cardarelli, a inizio aprile, hanno chiesto ad Asrem di ripristinare gli interventi di fatto bloccati perché la rianimazione è dedicata al coronavirus, allestendo una terapia intensiva Covid free oppure decidendo che l’ospedale regionale fosse solo Covid (e spostando la cura delle altre patologie negli ospedali spoke) o, viceversa, malati Covid in altre strutture e Cardarelli che torna ‘libero.
Da allora, sul tavolo si sono avvicendate un paio di ipotesi: terapia intensiva in moduli esterni alla struttura di contrata Tappino oppure quella del Gemelli. Ma la decisione non c’è ancora stata.
Nel frattempo, nel rapporto iniziato non benissimo fra i primari dell’ospedale regionale e la nuova direzione strategica dell’azienda di via Petrella piomba la fase 2. Quella in cui pure la sanità pubblica è chiamata a riorganizzare i servizi tenendo conto dell’epidemia. Il 15 maggio quindi i vertici Asrem inviano ai direttori delle unità operative ospedaliere la check list aziendale: la ‘notifica’ di una serie di adempimenti da compiere. Nella risposta, i primari citano – fra gli altri -«apposizione cartellonistica, divieto e regolamentazione degli accessi… predisposizione postazioni con funzioni screening/pre triage all’ingresso e adozione di schede di screening per ingresso di visitatori… predisposizione elenco attività gestibili da remoto… adozione di strumenti per consentire la comunicazione a distanza… separazione logistica dei percorsi…. delocalizzazione delle aree dedicate ad attività ambulatoriali… esecuzione del test molecolare per la ricerca del Sars-Cov-2 a tutti i pazienti che necessitano di ricovero… presenza area grigia pronto soccorso…» e così via fino alla formazione del personale, all’approvvigionamento dei materiali e farmaci.
Dal punto di vista normativo, logistico e tecnico – la risposta dei primari del presidio ospedaliero – è impossibile. Organizzare aree grigie e postazioni di screening e pre-triage presuppone «competenze tecniche (anche di natura ingegneristica e di sicurezza) e «andrebbe necessariamente ad interessare ed intercludere altre aree e zone dell’ospedale esterne ai singoli reparti, utilizzate e/o destinate ad altri scopi e/o di pertinenza di altri reparti».
Il problema, si legge nella nota, resta sempre quello: «L’attuale struttura e la confluenza di tutte le attività mediche dei singoli reparti, nell’unico reparto di rianimazione attualmente occupato dai pazienti Covid, rende in ogni caso impossibile e/o comunque inutile qualsivoglia forma di separazione di percorsi e reparti posto che, nella denegata ipotesi di criticità emergenziale, qualsivoglia paziente di qualsivoglia provenienza non potrebbe comunque usufruire del reparto rianimazione: da ciò la oggettiva paralisi delle attività ordinarie, il cui riavvio o la cui ripresa sconta tale inevitabile confluenza con i connessi conseguenti rischi di promiscuità la cui separazione risulta imposta sul piano normativo».
Per quanto attiene la sicurezza, è il datore di lavoro, concludono i responsabili delle unità operative, che deve individuare il referente, per la prevenzione e il controllo della infezioni il referente invece è la direzione sanitaria, per il rischio clinico c’è un’unità ad hoc in Asrem. I primari devono prima di tutto «prendersi cura dei pazienti ricoverati secondo la medicina basata sulle evidenze» e poi «vigilare che le direttive aziendali, una volta stabilite e deliberate dalla direzione generale, vengano attese da parte del personale della Unità operativa di appartenenza».

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