I percorsi del Cardarelli, ospedale che anche formalmente è misto, sono disciplinati da istruzioni operative e supporti tecnologici che «dovrebbero rendere sicura la permanenza e il trasporto dei pazienti».
E che il dg della Programmazione sanitaria del ministero della Salute Andrea Urbani usi il condizionale già denota che la relazione sulla visita ispettiva, da lui stesso disposta e svoltasi in tutti e tre gli ospedali Asrem e nella casa della salute di Larino, non è tenera. Non punitiva, nessun verbale ispettivo del dicastero, a meno di macroscopiche illegittimità, lo è. Tuttavia, le «azioni di miglioramento» chieste alla Regione sono precise. E i rilievi da cui scaturiscono numerosi.
La nota, e così fu per la visita che si è svolta il 27 e 28 gennaio scorsi, ripercorre anche le criticità segnalate nelle sue relazioni dal commissario della sanità Angelo Giustini. Per esempio, contrariamente a quanto da lui evidenziato, la separazione nel blocco operatorio fra terapie intensive Covid e non Covid agli ispettori coordinati dalla dottoressa Simona Carbone è sembrata efficace. Ma dalla sezione Covid della rianimazione del Cardarelli, si deve passare in un corridoio pulito per andarsi a svestire – rileva il verbale – con «rischio di contaminazione».
Inoltre, solo in alcuni casi e non sempre le operazioni non urgenti di pazienti che avranno poi bisogno di terapia intensiva post intervento vengono programmate negli ospedali di Isernia e Termoli. E, chicca interessante, la direzione strategica di Asrem che qualche mese fa in una riunione ha chiesto ai primari di autogestirsi, non dando quindi indicazioni imperative sullo spostamento delle attività programmate negli spoke visto che l’hub ha la terapia intensiva dedicata solo al Covid, ha addebitato l’inadempimento alla «resistenza dei professionisti chirurghi a riconfigurare le proprie attività sulla base delle mutate esigenze». Naturalmente, Roma ha quindi segnalato «la mancata governance delle liste operatorie con potenziale inappropriatezza di indicazioni e tipologia di interventi da non differire». E la mancanza di una governance di direzione medica di presidio.
Nel verbale c’è, finalmente, anche una indicazione chiara di dove sono dislocati i posti aggiuntivi di terapia intensiva attivati per l’emergenza pandemica. Sei in più a Campobasso e 3 in più a Isernia.
Ancora, gli ispettori scrivono che non c’è evidenza di procedure e percorsi per la gestione delle reti tempo dipendenti in particolare per i pazienti che hanno bisogno di interventi simultanei.
Al San Timoteo di Termoli, promiscuità dei percorsi con locali di vestizione e vestizione non configurati correttamente. Al Veneziale i rilievi degli ispettori sono molto numerosi: fra questi, «inadeguate condizioni igienico­sanitarie dei blocchi operatori».
Capitolo Vietri, che ieri ha fatto capolino sulla stampa locale perché il più ‘appetibile’ viste le polemiche che ancora si alimentano. Gli ispettori di Urbani hanno confermato quello che gli atti di programmazione sanitaria degli ultimi anni hanno sancito: è «inidoneo alla riconversione parziale o totale in ospedale Covid» perché non c’è laboratorio analisi ma solo un punto prelievi, non c’è la radiologia e la terapia intensiva, quella vecchia presente «mai attivata e ormai datata». E, dulcis in fundo, non c’è personale.
Anzi, scrive Urbani (che pure una settimana fa a Giustini da quanto è trapelato aveva dato un assenso all’utilizzo parziale per il Covid pur con precise prescrizioni) in chiusura della relazione, la casa della salute di Larino va orientata verso quello che i decreti 48 e 65 di Giustini prevedono e cioè l’assistenza in Adi delle patologie croniche e la riabilitazione e gli ambulatori post Covid.
Queste sono solo alcune delle considerazioni all’esito dell’ispezione. Nessun vincitore e nessun vinto: tutti sono chiamati a mettere in campo i miglioramenti richiesti dal Ministero e a far sapere a Roma entro quanto tempo li realizzeranno.
rita iacobucci

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