“Un patrimonio irrinunciabile della nostra Regione”. Con queste parole l’ex preside della facoltà di Medicina e Chirurgia Giovannangelo Oriani parlava del polo di contrada di Tappino. “Un’occasione di crescita per il territorio e per i nostri studenti” diceva, facendo eco alle affermazioni del rettore Cannata, che in ogni incontro accademico e apparizione pubblica ha tessuto le lodi del progetto del “Monte della salute”. Un progetto che lui stesso ha fortemente voluto e che ha difeso a spada tratta in ogni sede e contro ogni attacco, anche quando la facoltà Unimol è stata additata come responsabile del deficit sanitario molisano. “La Regione ha contribuito solo in minima parte all’istituzione della struttura” – tuonava. “Abbiamo scommesso in questo progetto. Abbiamo investito, lavorato e sudato e siamo riusciti con le nostre forze ad offrire questa opportunità ai nostri studenti e al territorio”. Lo diceva con orgoglio il rettore Cannata, consapevole di aver davvero contribuito alla crescita del Molise. E con orgoglio ha partecipato mercoledì 18 luglio alla laurea dei primi medici targati Unimol. Sono Adriana Cristofano, Federica Fatica, Serena Schipani e Daniela Simeone. Alle ore 10, in contrada Tappino, gli occhi erano puntati tutti su di loro. C'era il governatore Iorio. E c'era il rettore Cannata, che in passato difficilmente ha partecipato alle "prime" sedute di laurea (al di fuori di quelle dei corsi in cui afferisce). Ma partecipare a quella di medicina era troppo importante. Era importante per il cammino che si apprestano ad intraprendere queste giovani dottoresse, da domani responsabili di vite umane. Era importante perché corona un percorso lungo ed intenso, in cui non sono mancati ostacoli e cadute, ma in cui la voglia di rialzarsi e di portare a termine il progetto ha avuto la meglio. Era importante perché l’ateneo ha investito tanto e lottato tanto. Ha dovuto convincere politici e amministratori. E quando quel lontano 22 settembre, presso la sede del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a Roma, il rettore, il ministro Moratti, il governatore Iorio e il presidente del Consorzio Universitario Molisano Paone misero nero su bianco l’accordo di programma per l’istituzione della facoltà quasi non sembrava vero.

Sono passati sette anni da quel giorno. La facoltà è cresciuta. I posti disponibili sono passati da 50 a 75. Le aule si sono moltiplicate ed è sorto il collegio medico. I docenti sono diventati parte integrante dell’organico dell’ospedale Cardarelli e gli studenti sono entrati in reparto, a stretto contatto con i pazienti. Perché è così che cresce un medico. E’ così che fa pratica e impara ad essere umile. Il 18 luglio le quattro studentesse – due di Campobasso, una di Isernia e una del beneventano – hanno discusso quattro tesi sperimentali, trattando argomenti che vanno dallo studio delle neoplasie neurologiche (Adriana Cristofano), alle patologie dell’apparato respiratorio, quali le broncopneumopatie (Federica Fatica), dal ruolo della diagnostica per immagini nella valutazione del carcinoma della tiroide (Serena Schipani), alle problematiche ginecologiche ed ostetriche legate ai fattori di rischio materno prima della gravidanza (DanielaSimeone). E' stata l’emozione della vita. L’ultimo scoglio di un percorso lungo (6 anni) e tortuoso, ma anche pieno di gioie e soddisfazioni. Le quattro ragazze hanno superato brillantemente i test d’ammissione. Hanno partecipato a tutte le lezioni, perché a differenza di altri corsi, a Medicina la frequenza è obbligatoria. Hanno svolto attività di tirocinio pratico, frequentando le strutture assistenziali (reparti, ambulatori, sale operatorie, laboratori, etc) presenti al Cardarelli e in altre strutture del territorio molisano. E lo hanno fatto sin da subito, perché, quando la facoltà ha elaborato il piano di studi, ha deciso di inserire le ore di tirocinio già dal primo anno. Una scelta che, se da un lato è sembrata discutibile – perché le matricole non avevano ancora a disposizione le conoscenze teoriche per apprendere ciò che avviene in reparto – dall’altro ha rappresentato una marcia in più, perché ha consentito agli studenti di ‘ambientarsi’ e, quindi, di arrivare più sicuri e preparati alle attività di tirocinio degli anni successivi. “La nostra filosofia è che non esistono una didattica frontale ed una professionalizzante separate, né un corpo docente universitario ed uno ospedaliero separati” – aveva detto un anno fa l’ex preside Oriani. “La facoltà è una comunità unica, in cui gli studenti sono affidati ad un progetto didattico complessivo e ad un unico corpo docente, costituito sia da docenti universitari che ospedalieri”.

Oggi la soddisfazione è di tutti. E a versare qualche lacrima non sono state solo le laureande e i loro genitori, ma anche chi in questi sei anni le ha formate e ha insegnato loro l’arte della medicina e la sensibilità nell’approccio al paziente. Non è stato un giorno come un altro. Ma non è stato nemmeno l’ultimo giorno. Le studentesse dovranno imparare ad essere fredde e ad avere mano ferma. La speranza è che lo facciano in Molise, ma i professori saranno comunque orgogliosi se le loro allieve diventeranno grandi altrove. L’Unimol, invece, dovrà lavorare a lungo per fornire l’altro importante livello che ancora manca alla facoltà (oggi dipartimento): le scuole di specializzazione. Perché queste giovani dottoresse e tutti gli altri camici bianchi che seguiranno devono avere la possibilità di continuare gli studi all’Unimol, oltre che di esercitare la professione in regione. Potranno scegliere di andar via, ma la possibilità di restare non deve mancare. Il rettore Cannata ha già avvisato Profumo e auspica che il ministro confermi le promesse fatte in pubblico, in occasione della sua visita in Ateneo lo scorso 2 maggio. Insomma, l’Unimol è stata chiara: non vuole lasciare le cose a metà.

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