L’unione fa la forza: l’assunto è alla base di una battaglia comune, partita dal giornalista Franco Giuliano con l’hashtag #vogliamoanchealsudtrenipiuveloci. Chiarissimo ed evidente il nocciolo della questione, affrontata ieri in via Genova dai governatori del Molise e della Basilicata e dai rappresentanti istituzionali dell’Abruzzo e della Puglia. Ospite “a distanza” anche Al Bano, testimonial intervenuto telefonicamente. Il ‘treno dei desideri’ si è fermato a Palazzo Vitale per consentire al presidente Toma di firmare l’appello da inviare all’attenzione del premier Conte. Prima di lui, hanno siglato quel ‘grido di battaglia’ i governatori della Basilicata Vito Bardi (presente ieri a Campobasso), dell’Abruzzo Marco Marsilio – ieri rappresentato dal sottosegretario D’Annuntiis – e della Puglia Michele Emiliano che ha inviato in sua vece Barbara Valenzano, direttore del Dipartimento mobilità. La campagna a favore dell’estensione dell’alta velocità nel Mezzogiorno, utile per «colmare il gap infrastrutturale ed economico che penalizza il Sud rispetto alle regioni maggiormente infrastrutturate – ha spiegato il ‘padrone di casa’, Donato Toma – ha un solo obiettivo: far sì che l’Italia sia una, con pari opportunità e dignità». E, per realizzarlo e centrarlo, occorre che da Bologna a Lecce, corra l’alta velocità. «Nell’attesa che questo obiettivo si realizzi – ha spiegato Giuliano, giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno – chiediamo che il Governo adotti, così come è avvenuto per i Frecciarossa e i treni Italo che proseguono a sud di Salerno, un provvedimento per eliminare anche sulla dorsale appenninica il pedaggio ferroviario che le imprese del settore pagano a Rfi, così da creare le condizioni affinché Trenitalia aumenti il numero dei Frecciarossa e che anche Italo avvii collegamenti che percorrano la linea ad alta velocità Torino-Milano-Bologna e proseguano poi verso l’Adriatico fino a Bari e Lecce». Un intervento ‘perequativo’ nei confronti dei territori del centro-sud e dell’area adriatica, da realizzare «incrementando il pedaggio sulle tratte ad alta velocità più remunerative, per le quali si è registrato un aumento enorme dei collegamenti» che di fatto ha creato una sproporzione di servizi rispetto agli altri territori. Spinge sul tasto della perequazione anche il presidente Toma. «Le risorse vanno allocate laddove si evidenzino ritardi nello sviluppo e, rispetto a questo principio, ci deve essere unanimità da parte di tutte le Regioni; la perequazione dei quattro livelli essenziali di prestazione – istruzione, salute, assistenza sociale, mobilità e trasporto – su tutto il territorio nazionale è condizione imprescindibile per coniugare autonomia e solidarietà nel rispetto della Costituzione. Anche l’estensione dell’alta velocità al Sud rientra nella rivendicazione dei livelli essenziali di prestazione – ha sottolineato -. La realizzazione dell’alta velocità ha consentito alle regioni interessate dalle direttrici passi tangibili in avanti nell’economia in danno di altre regioni alle quali è stata negata tale opportunità. Parliamo del versante adriatico, del centro-sud e del nord-est del Paese». Gli effetti negativi, lì dove tali infrastrutture non si sono realizzate, hanno prodotto «la negazione del diritto alla mobilità per milioni di cittadini» e non solo. Mancato sviluppo economico dei territori. «Se non ci sono infrastrutture adeguate, non solo per quanto riguarda il trasporto su rotaie, le aziende non arrivano e, senza aziende, non c’è lavoro» la condivisibile conclusione del ragionamento. L’unione fa la forza, quindi: per sensibilizzare il governo Conte e per il pressing politico messo in atto in Conferenza delle regioni « sul diritto alla perequazione dei livelli di prestazione estensibile a tutte le regioni» ha spiegato Toma. Un altro alleato, in questa battaglia, è Al Bano Carrisi. «Non possiamo sempre essere il fanalino di coda, tra l’altro spento: occorre distribuire le necessità in maniera equa, non stiamo chiedendo la luna. Siamo stati calmi, non abbiamo reagito, abbiamo saputo aspettare ma questo non significa debolezza. È urgente che il Governo faccia questo passo se vogliamo chiamarci tutti italiani».

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