Del sogno cullato, coccolato, nutrito dalla passione, non restano che le rovine. Un ‘uragano’ di qualche secondo è bastato a spazzare via tutto, pure le fondamenta del castello costruito su piedi d’argilla, cascato come un fuscello. Le lacrime non sono bagnate ma trafiggono il cuore, quel cuore che pulsa sangue rossoblù e non vorrebbe smettere mai di battere. E non lo farà. Ma oggi è il tempo della delusione, di quel moto di rabbia impotente di fronte a qualcosa che era impossibile controllare. Mario Gesuè, il rappresentante del fondo svizzero che ha deciso di investire nel calcio nostrano nell’ormai lontano 2018, è il solo ed unico responsabile di questo cataclisma calcistico. Un disastro vero e proprio negli ultimi mesi. Si potrà dire che “ci hanno fatto fuori” per 70mila euro, o 94mila. Poco cambia. La sostanza, non la forma invocata da più parti, è la seguente: non sono state pagate le tasse, l’Iva nello specifico. Questo è bastato per estromettere la società molisana dal professionismo. E al momento anche dalla serie D. Complotti? Ma su, come se la Federazione, la Lega o la giustizia amministrativa preferissero piazze come Fermo e Sassari a Campobasso… Mano pesante? Forse sì, ma le regole vanno rispettate e le tasse vanno pagate, basta girarci intorno e accampare scuse. Si sperava che il Tar del Lazio prendesse per buone le motivazioni sostenute dagli avvocati Di Cintio e Ferrari. Macché, ha confermato e inasprito quanto ribadito da Figc e Collegio di Garanzia del Coni. E allora, questo è il punto: si è voluto rischiare, volutamente, di andare incontro a un’esclusione nonostante le sollecitazioni e le note informali giunte a più riprese. Per quale motivo? Superficialità? Esagerata sicurezza nei propri mezzi che si sono rivelati impresentabili? Calcolo matematico di non si capisce quale strategia? O ‘semplicemente’ perché non c’erano soldi per farlo?
Campobasso piomba di nuovo nell’anonimato, di fatto oggi è senza calcio, senza quel pallone che rotola su un rettangolo verde e fa gioire, disperare, imprecare. Che peccato. L’ambiente era stato ricostruito, i più piccoli avevano imparato a dribblare, segnare o esultare come Rossetti o Liguori, non imitando Ronaldo o Ibra. Poi arrivano le sentenze fredde, dure, taglienti come lame, che seppelliscono esultanze, braccia al cielo, cori, gradoni, abbracci, sorrisi e delusioni.
E ora cosa succederà? Si farà di tutto per ripartire dalla serie D. Ma con chi? Con chi dimostrerà concretamente di essere interessato a fare calcio nel capoluogo. Imprenditori locali? Sarebbe l’ideale ma al momento non si segnalano cordate. Ad oggi il più interessato a continuare il discorso calcistico rossoblù è Matt Rizzetta, il socio americano che ha ribadito a più riprese di voler continuare a dare una mano qualsiasi cosa sarebbe successa. Dovrà però chiarire la propria posizione, visto che fa ancora parte del club di Gesuè. Lui ha più volte parlato col sindaco, il quale ha inviato una nota ufficiale alla Figc con la quale avviare la manifestazione d’interesse da parte di società sportive per l’iscrizione dei Lupi in serie D. Occorrono almeno 300mila euro a fondo perduto. Poi bisognerà costruire la squadra. Non è affatto facile. Ma è l’unica strada da battere.
Gesuè dovrà prendersi le sue responsabilità preoccupandosi di restituire i soldi degli abbonamenti ai tifosi, visto che in settecento avevano già sottoscritto la tessera. Oltre a onorare quanto dovuto a dipendenti e collaboratori che spesso sono andati avanti solo per l’amore che nutrono verso i colori rossoblù. Ore, giorni, settimane, che hanno sottoposto a un’umiliazione cocente la piazza campobassana, già provata da cinque fallimenti negli ultimi trent’anni. Il rammarico? Aver dato troppo credito a chi di fatto non lo meritava. Ma qui incidono il troppo amore e il deserto di persone pronte a investire nel calcio sul territorio.
Per dovere di cronaca, bisogna riportare che le società ripescate al posto di Campobasso e Teramo (altra esclusa) sono Torres e Fermana. Domani saranno stilati i gironi della serie C e il nome dei Lupi sarà assente. E chissà per quanto ancora lo sarà. Lo stesso accadrà per i calendari. Tristezza infinita. Ma anche voglia di ripartire, nonostante tutto.

Franco de Santis

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