La maratona – metafora spesso usata nelle sue considerazioni e ‘compagna di viaggio’ (in tutti i sensi) nella felice campagna culminata con un argento da commissario tecnico dell’under 19 azzurra ai Mondiali di categoria in Egitto – non poteva che avere un traguardo ad Atene, laddove Filippide annunciò la vittoria del suo popolo sui persiani appunto nella piana di Maratona. Andrea Capobianco, coach venafrano dell’Italbasket rosa bronzo agli ultimi Europei chiusisi al Pireo, lo sa bene e vede proprio in quest’aspetto uno dei punti di forza dello splendido gruppo a sua disposizione.
«Era un evento cui tenevo e cui tenevamo tanto – spiega – e, come nella maratona, il finale è all’insegna del cuore per andare oltre lo sforzo fisico. Il percorso complessivo di questa rassegna è stato fedele a questo tipo di immagine. La gara con la Francia è stato qualcosa di fantastico. Le ragazze hanno dato vita ad una gara unica, fantastica, pazzesca. Si sono davvero superate. È stata una prova grandiosa».
Del resto – in più di una circostanza – lo stesso Capobianco ha parlato di una squadra che è andata ‘oltre la normalità’.
«La normalità – ricorda – come ho accennato al gruppo il 17 maggio quando è partito il nostro percorso non ci avrebbe portato a nulla e così la richiesta principale a tutte è stata quella di dare qualcosa in più».
E così la forza del gruppo azzurro è stata proprio quella di avere il massimo da ogni sua rappresentante. «Vero – riconosce il tecnico – quando qualcuna si accendeva le compagne facevano di tutto per farla splendere. Nessuna ha vissuto di invidia, ma si è cercato di far brillare chi, in quel momento, stava trainando il gruppo, penso ad esempio a quanto è avvenuto con Cubaj nei supplementari con la Turchia».
Una squadra che ha avuto nel cuore e nell’anima una caratteristica non indifferente, uno dei concetti che, nel modello di pallacanestro integrata tanto cara al coach venafrano, è la base per la trasformazione poi sul parquet nei concetti tecnico-tattici.
«L’anima è fondamentale in quanto si fa nella vita – spiega Capobianco – e, da parte nostra, andiamo poi a tradurla nei concetti tecnico-tattici di basket. Contro la Turchia, ad esempio, abbiamo saputo anticipare le linee di passaggio, facendo ricevere la loro pivot in determinate situazioni oppure con Lituania e Francia a non cercare anticipi, visto che tendevano a chiudere subito le azioni, ma a far sviluppare i loro giochi. In questo senso, la capacità di cambiare abito da parte del gruppo ci ha fatto raggiungere quanto abbiamo conquistato. Le ragazze hanno creduto nel metodo, lo hanno assorbito e lo hanno voluto far loro. Troppe volte si lavora solo per casistiche oppure ci si sofferma unicamente sui concetti, questo gruppo ha dimostrato che ci sono aspetti che sintetizzano diverse metodologie e che sono in grado anche di rendere funzionali e interconnessi i diversi alfabeti, generali e specialistici».
Concetti ampi, ma con una base profonda. Quella di un percorso partito dai campi all’aperto a Venafro. «I playground – spiega Capobianco – ci danno tanta autonomia da un lato e dall’altro trasmettono anche la voglia di fare uno sforzo in più ed è quello che ho vissuto rientrando a Venafro e vedendo i ragazzi giocare con temperature alte nel campo nei pressi della chiesa di don Salvatore. In questi frangenti emerge con forza la passione che rappresenta l’unica differenza per dare la misura della quantità di voglia che ci si mette nel fare le cose». In particolare, il lavoro di coach Capobianco e delle magnolie Trimboli e Madera ha messo anche sotto la luce dei riflettori il Molise. «Una luce che deve essere trasmessa a tutte le società del territorio, un’occasione per illuminare il cammino e non per abbagliare. Se pensiamo anche a Martina (Kacerik, ndr), poi infortunata, c’erano tre ragazze impegnate a Campobasso nel giro azzurro e questo è un dato che deve far riflettere tutti per far comprendere come il lavoro sia una luce su quanto si deve fare e non un motivo di abbaglio».
Nel grande pubblico, qualcuno – in considerazione del percorso – ha parlato di un rammarico per una squadra che avrebbe potuto conquistare anche l’oro.
«Penso che una squadra che ha perso e, per uno scarto minimo, una sola partita parlare di rammarico sia davvero arduo. Ci può essere stato del dispiacere forse dopo la partita col Belgio, ma nel mio caso semplicemente vivo fierezza ed orgoglio per quanto fatto anche perché nelle considerazioni di tanti addetti ai lavori questa squadra avrebbe dovuto far fatica già nel girone con gli incidenti nel percorso – gli infortuni di Villa e Kacerik – che hanno minato le certezze di molti, considerando anche le assenze poi delle varie Panzera, Pastrello ed Arado, tra le altre. Alla fine gli ottimisti non erano così numerosi, ma col nostro percorso abbiamo fatto sì che, partita dopo partita, le possibili prospettive divenissero certezze».
Tanto da spingere molti, ora, a guardare avanti con forza verso i Mondiali di settembre 2026 in Germania (a marzo ci saranno i tornei di qualificazione).
«In prima battuta – asserisce Capobianco – occorre apprezzare il cammino portato avanti da questa nazionale ed i valori di umiltà e sicurezza in se stesse, senza alcun tipo di presunzione, da parte di giocatrice che hanno messo anche leggerezza in campo, ma mai superficialità, e che sono state un tutt’uno perché da soli non si va mai da nessuna parte. Proprio per questo occorre camminare lungo questi valori per riuscire a dare un futuro roseo al basket femminile, diversamente si rischierebbe di imbottigliarsi nuovamente».
Aspetti che, non a caso, designano il tecnico venafrano come un vero e proprio mastermind (la definizione è della Fiba, la federazione cestistica internazionale, ndr) e che hanno accompagnato anche la sua elezione a miglior allenatore della rassegna da parte della stampa accredita alla kermesse.
«Ero fuori con il presidente Petrucci e lo staff a festeggiare quanto fatto – racconta Capobianco – anche per smaltire tensione e stanchezza quando ho ricevuto la notizia e, per me, è stata motivo di grande orgoglio, perché ha rappresentato la capacità di veder concretizzato lo sviluppo continuo di idee in cui continuo a credere con forza anche grazie a queste ragazze. Questo premio mette in luce il vertice, ma, attorno ad un coach, c’è tutto un lavoro di staff (tecnico, medico e dirigenziale) che consente di produrre simili risultati, che sono principalmente la sintesi di un’opera di gruppo».
Altro concetto che ha spesso accompagnato il percorso del coach venafrano è quello di sogno. Naturale, quindi, provare a capire quale sia il prossimo sogno da inseguire da parte dell’allenatore.
«Poter riuscire a trasferire il più possibile quanto è stato fatto in questo Europeo – spiega – non tanto a parole quanto nei fatti in quelli che sono i sogni di tanti ragazzi, facendo comprendere loro come il guardare in là possa essere sinonimo di solidità verso progetti più grandi ed importanti».
Quella solidità che, non a caso, è stato il marchio di fabbrica di un gruppo capace di reagire in ogni circostanza durante la rassegna in quelli che potevano essere dei momenti di difficoltà che si palesavano all’orizzonte.
«Un castello di sabbia – chiosa Capobianco – può sembrare una struttura solida se qualcuno non ci mette un piede sopra, ma questo gruppo ha dimostrato che, anche con i piedi addosso, la struttura non può essere intaccata se alla base c’è un’unione reciproca ed un grande supporto, anche e soprattutto nelle difficoltà, perché nei momenti felici tutto è più semplice».
Vincenzo Ciccone