Cinquemila le vite umane che il Molise diede all’Italia nella Grande Guerra. Un tributo importante e dimenticato. “Fatto di eroi singoli, senza grandi nomi, senza grandi ricordi ma un contributo davvero fondamentale che è giusto ricordare”.

Paolo Mieli apre il ciclo di incontri promosso dalla Regione Molise che insieme all’Università ha dedicato uno spazio di riflessione al primo conflitto mondiale inaugurando le commemorazioni per il centenario. “Il Molise farà da battistrada a tutti gli altri eventi che ci saranno in Italia e che inizieranno intorno al 24 maggio. Ho voluto essere qui perché questa iniziativa è la prima”, dice il presidente di Rcs libri e già direttore del Corriere della Sera. La sua lectio magistralis, introdotta dal saluto del governatore Paolo Frattura – assente per altri impegni –, dal contributo del delegato alla Cultura Nico Ioffredi e dall’intervento del rettore di Unimol Gianmaria Palmieri, tocca la storia e l’attualità. Prima dell’avvio dei lavori, Mieli si ferma a parlare con i cronisti locali. “La Grande Guerra fu importantissima perché fu un passaggio prima del quale l’Italia non era veramente nata. Era una serie di regioni o di Stati preunitari che erano stati messi insieme alla bell’e meglio ma che continuavano a vivere, a pensare e a parlare come avevano vissuto, pensato e parlato prima. Sarà solo in quelle trincee – evidenzia il presidente di Rcs libri – che gli italiani, a prezzo di un terribile sacrificio, quello per cui il Papa parlò di ‘inutile strage’ in un famoso discorso all’inizio di agosto del 1917, diventeranno davvero un popolo”. Oggi, quel popolo, è ancora una volta alle prese con una grande crisi ed è “in prima linea nell’affrontare il nuovo grande conflitto mondiale che è quello con il radicalismo islamico come dimostra l’attentato di Tunisi. È con noi che ce l’hanno, ci chiamano crociati anche se si tratta di poveri pensionati torinesi, è con noi che vogliono iniziare questo scontro. Un popolo stremato da una crisi, che cerca di rimettersi in piedi deve affrontare una guerra. Non dico che è la stessa cosa, ora c’è una consapevolezza maggiore, ma qualcosa mi ricorda quel periodo. Non bisogna mai sottovalutare i rischi e occasioni come questa di Campobasso ci aiutano a restare vigili”.

Come arrivammo alla guerra, in Molise e a Campobasso, lo racconta lo scrittore Adelchi Battista che torna all’anno prima dell’entrata in guerra dell’Italia. “Per la città un momento di grande espansione”. La regione, non ancora Regione, viveva però anche il picco dell’emigrazione. E cinquemila furono i suoi figli uccisi nei teatri del Triveneto, Battista perciò descrive una “terra smembrata da questo evento tragico”. Ma anche lo stravolgimento nella vita di chi dal fronte tornò. La svolta di chi imparò a scrivere perché doveva far avere notizie ai cari rimasti a casa.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.