Pericolo scampato, per un soffio. Da Pechino, passando per Mosca dove il suo aereo ha fatto scalo, Mariantonietta D’Aversa è riuscita ad atterrare a Roma il 29 gennaio. Uno degli ultimi trasferimenti aerei ‘autorizzati’ dal governo prima dello stop ai voli imposto, da e per la Cina, solo qualche ora fa.
Ventidue anni, da oltre cinque mesi studentessa di cinese all’Università di lingue e culture di Pechino, è rientrata a Cercemaggiore mercoledì mattina. «Le prime notizie sul coronavirus ci hanno sorpreso mentre eravamo a Shangai – racconta la 22enne -, intorno al 20 di gennaio scorso: abbiamo cominciato a ricevere messaggi sul telefonino provenienti dalla compagnia telefonica oppure dalla app del servizio di prenotazione dei taxi. Ci invitavano ad utilizzare la mascherina antivirus, i guanti, ad evitare i luoghi affollati. E così, in treno, sulla tratta da Shangai a Pechino, abbiamo cominciato ad usare le protezioni. In teoria, in Cina le mascherine si dovrebbero usare sempre, per proteggersi dallo smog ma, alla fine, non sono così diffuse. In quei giorni, a dire la verità, anche i cinesi non erano propriamente coscienti di quello che stava avvenendo. Poi, nel giro di qualche ora, la faccenda si è complicata».
Il viaggio in treno è stato il primo, vero contatto con l’allarme epidemia scattato nel frattempo anche nel mondo. «Le prime notizie sul coronavirus, sul pericolo del contagio, su quello che stava avvenendo proprio nel Paese dove eravamo, le abbiamo apprese dai giornali italiani» ammette. «E così, sul treno, abbiamo indossato per la prima volta la mascherina antivirus. Dormire, quella notte, è stato complicato» confessa. L’impatto con Pechino, il rientro dopo qualche giorno passato ad oltre mille e 200 chilometri di distanza e in una delle città più popolose del mondo con i suoi 24 milioni di abitanti, ha immediatamente consegnato la sensazione che qualcosa stava succedendo. «La città, con il passare dei giorni, era sempre più vuota, eppure conta oltre 20 milioni di abitanti. Le strade deserte, nell’ora di punta. La metro senza passeggeri, pochissimi locali aperti ma senza clienti». E poi le strade tappezzate di annunci, gli stessi che sono apparsi alle fermate della metropolitana, nelle stazioni. Antichi dazibao per avvertire tutti dell’allerta da 2019-nCoV. E così anche Mariantonietta e i suoi amici studenti, italiani e cinesi, si sono chiusi in casa, hanno evitato di uscire se non per motivi inderogabili. «I negozi, i supermercati avrebbero dovuto essere chiusi comunque, per i concomitanti festeggiamenti del capodanno cinese. Avrei voluto assistere a questa grande festa, è stato il motivo per il quale ho deciso di ritardare la partenza – racconta ancora la 22enne -. Così non è stato. Negozi chiusi per il capodanno e poi per il virus, insomma la combo perfetta» ironizza. L’aereo già prenotato, partito qualche giorno prima dell’allarme pandemia, le ha consentito di rientrare senza aspettare il volo charter, organizzato dal governo, che riporterà in Italia – nelle prossime ore – oltre 60 connazionali attesi nella notte fra domani e dopodomani. È già previsto, per i rimpatriati, un periodo di isolamento che potrebbe variare da caso a caso: gli italiani in fuga (di contro, almeno una decina ha scelto di restare in Cina) trascorreranno un paio di settimane nella struttura sanitaria presente nell’aeroporto di Pratica di Mare per scongiurare contagi e attendere il periodo di una eventuale incubazione del coronavirus. «A Pechino non ho conosciuto né frequentato molisani – racconta ancora Mariantonietta – ma ci sono tanti italiani, alcuni dei quali sono rientrati nei giorni scorsi come me, prima dello stop imposto ai voli. Ho saputo che al loro arrivo, a Roma, sono stati controllati dalle equipe mediche. A me questo non è accaduto». All’aeroporto di Pechino, invece, quando si è presentata per l’imbarco – naturalmente munita di mascherina antivirus – le è stata controllata la temperatura e ha dovuto compilare un modulo con il quale ha dichiarato di non arrivare da Wuhan – la capitale dell’Hubei, centro dal quale si è propagata l’epidemia – e di non avvertire i sintomi del coronavirus, che poi sono molto simili a quelli di una normale influenza di stagione. L’università che Mariantonietta ha frequentato per cinque mesi, «una esperienza bellissima», confida con voce gioiosa, è chiusa da giorni. «Ho ricevuto una mail, lezioni sospese fino a data da destinarsi. Ma quando tutto questo terminerà, tornerò a Pechino. Ho un conto in sospeso. Devo festeggiare il capodanno cinese».
lucia sammartino

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