Brillanti le parole che Raffaele Mincione – il primo a trattare col Vaticano per l’ex magazzino di Sloane Avenue che doveva essere trasformato in appartamenti di lusso – dedica all’arresto di Gianluigi Torzi: «Se lo sono scelto loro, se lo sono trovato loro e se lo discuteranno loro. Il signore (Torzi, ndr) ha avuto l’incarico da Pena Parra di comprare il palazzo, e l’ha comprato», racconta all’AdnKronos. Brillanti e chissà che nel giudizio storico sulla vicenda non diventino definitive.
Torzi è in stato di fermo in Vaticano, da venerdì sera dopo l’interrogatorio. Accuse pensantissime: estorsione e truffa, rischia fino a 12 anni. Secondo il Promotore di Giustizia, ha ricattato le alte sfere della Santa Sede per vendere il pacchetto di azioni che aveva conservato di una società anonima, la Gutt Sa, coinvolta nel passaggio di mano da Mincione alla Santa Sede.
I suoi legali si dicono fiduciosi di dimostrare che la verità è un’altra. «Abbiamo trascorso l’intera giornata con lui. Stiamo lavorando per raccogliere informazioni e prove che chiariranno aspetti che al Promotore di Giustizia evidentemente non sono chiari – dichiara a Primo Piano l’avvocato Marco Franco che cura la difesa di Torzi insieme ad Ambra Giovene». Il poco più che 40enne broker, in custodia nella caserma della Gendarmeria, è «sereno, sa di non aver commesso alcun reato», aggiunge Franco. «Ha un grande rispetto per il Vaticano e il Papa, mai avrebbe agito contro gli interessi della Santa Sede. Anzi, ha consentito alla Segreteria di Stato Vaticana di recuperare un prestigioso immobile londinese il cui ingente valore rischiava di essere disperso e successivamente ha evitato che lo stesso potesse prendere vie poco chiare».
L’edificio al centro dell’inchiesta è un antico magazzino di Harrods nel quartiere di Chelsea a Londra. A vendere il palazzo al Vaticano, che inizialmente stava valutando un investimento nell’estrazione di petrolio offshore in Angola, fu Mincione. La Segreteria di Stato non acquistò le mura, ma sottoscrisse le quote del fondo Athena che faceva capo a Mincione. E lo fece con i soldi dell’Obolo di San Pietro, soldi destinati agli ultimi, gestiti invece con troppa disinvoltura durante il Pontificato del cardinale argentino che ha scelto come nome quello del Santo dei poverelli.
Nel 2018 la Santa Sede ha perso già 18 milioni nell’affare. Versa altri 40 milioni per acquisire l’intera proprietà del palazzo ma non ci riesce. È qui che fa la sua comparsa Torzi, lo sceglie – come dice oggi Mincione – il Sostituto agli Affari generali della Segreteria di Stato Edgar Peña Parra, nominato nell’estate 2018 da papa Francesco. Avrebbe dovuto agevolare l’acquisizione della proprietà del palazzo, ma aveva conservato il pacchetto di azioni di Gutt Sa, che ha cessato ogni attività il 5 settembre 2019 ed è stata radiata dal Registro delle Imprese lussemburghese, dopo lo scioglimento della società per volontà dell’azionista unico. Alla fine, il Vaticano ha dovuto sborsare altri 15 milioni per acquisire l’immobile.
Quindici milioni che a Torzi ora costano le accuse di peculato, truffa, estorsione e auto riciclaggio. Si sarebbe trasformato, questa la ricostruzione dell’accusa secondo quanto afferma AdnKronos, nell’uomo in grado di tenere in pugno la Segreteria di Stato fino a consumare un’estorsione di 15. Anzi, sempre secondo gli investigatori del Papa, non si sarebbe fatto scrupolo ad avanzare le sue richieste davanti al Pontefice, salvo poi disattendere gli impegni presi. L’imprenditore incontrò il Papa il 26 dicembre 2018 nella Domus di Santa Marta, come mostra la foto pubblicata in esclusiva sul sito www.adnkronos.com. Nella stessa occasione ci sarebbe stata una riunione, che aveva al centro la trattativa in corso con la Segreteria di Stato Vaticana per convincere il banker a cedere le azioni. All’incontro avrebbero partecipato fra gli altri monsignor Pena Parra, Giuseppe Maria e anche il Papa avrebbe fatto una rapida comparsa.
Da 3 milioni fino a 30: in altre riunioni e in altri luoghi si sarebbero consumate le richieste di Torzi, finché il Vaticano accettò di pagarne 20, convincendo poi il broker ad accettarne 15. Qui, per la procura d’Oltretevere si consumò l’estorsione.
Il legale di Torzi ribadisce che si tratta di un «malinteso determinato da dichiarazioni interessate che possono aver fuorviato una corretta interpretazione della vicenda da parte degli inquirenti». All’interno del Vaticano, conclude, il suo assistito «si è fatto dei nemici. Ma siamo convinti di riuscire a chiarire tutto».

red.pol.

 

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