Nella prima nebbia ottobrina del mattino squarciata dalle luci del Corso non s’ode più il brusio silente di bruciatori accesi né l’odore caldo e profumato di pagnotte di pane, filoni e rosette o biscotti all’olio appena sfornati… l’antico Panificio D’Aquila ora è racchiuso nel silenzio del vicoletto su Corso Umberto.
L’avventura era iniziata nel lontano 1939 quando Giovanni D’Aquila, meglio conosciuto come ze Giuànne Catenijèlle e sua moglie Raffaela Di Biase ze Raffaela, decisero di aprire un forno nel paese per assolvere a ciò che recitava il Padre Nostro, “il pane quotidiano” sulle mense di Vinchiaturo. Allora il primo forno era alimentato con fascine e ramelle di quercia come i forni casalinghi delle case. Per anni l’affiatata coppia impastò a mano sacchi e sacchi di farina lievitata con lievito madre e a forza delle sole braccia modellò ed infornò centinaia e centinaia di pagnotte di pane, ri panijèlle.
Venne poi la guerra ma il pane quotidiano anche se legato ad una tessera annonaria fu assicurato ad ogni famiglia Vinchiaturese tra mille sacrifici. La famiglia crebbe e tra tanti figli i tre maschi giovanetti iniziarono ad affiancare i genitori, Francesco, Berardino che poi emigrò in America, e Vittorio iniziarono il duro lavoro di panificazione lavorando alacremente già alle prime luci dell’alba ampliando la produzione con panini, filoni e biscotti secchi e al finocchione aprendo il punto vendita proprio sul locale nell’angolo destro del vicoletto del corso principale. Ricordo da bambino quando si vendeva il pane con la “jònda”, l’aggiunta di un tozzetto di pane fresco che io consumavo nel tragitto verso casa nel portare la pagnotta appena comprata.
Poi si passò al forno alimentato a gasolio, una novità che facilitava la cottura dei prodotti di panificazione, un manufatto enorme rivestito di mattonelle rettangolari bianche con una striscia di mattonelle nere e bocche per infornare con sportelli in lucido metallo che famelicamente accoglievano le candide e morbide panelle di pasta fresca lievitata e impastate con una moderna impastatrice elettrica appena estratte dai candidi panni di odoroso lino nelle longilinee mese di legno che ne favorivano la prima asciugatura.
Poi Vittorio decise di lasciare l’arte bianca ed aprì il Bar D’Aquila sul corso. Fu così che Francesco prese nuova mano d’opera fino ad arrivare ad Antonio De Lorenzo e Carluccio Pistilli che per anni lo affiancarono nella produzione di pane, pizze bianche, pizze al pomodoro, filoni, panini, rosette e biscotti secchi e al finocchietto. Quante generazioni cresciute con quel pane odoroso di duro lavoro e farina di grani nostrani… Poi dopo la prematura scomparsa di Francesco, il figlio Giovanni, cresciuto tra farina e pane, decise di continuare l’attività di famiglia affiancando il panificio al negozio di alimentari con l’indimenticabile sorella Annamaria, la madre Vincenzina De Socio e poi la giovane consorte Mariapia Colandrea. Dopo anni di duro e faticoso lavoro, Giovanni ha deciso di chiudere questa la pagina di questa avventura iniziata dal nonno ze Giuànne Catenijèlle nel lontano 1939 e poi dal padre Francesco e ru panijèlle de’ Catenijèlle sparisce dalle nostre tavole…
Grazie allora alla famiglia D’Aquila per aver assicurato per decenni il pane quotidiano sulle Nostre tavole ma che, sicuramente, delizierà ancora i nostri palati con prodotti dolciari particolari quali panettoni, ciambelle, pastiere, pepatelli e zuccotti, mostaccioli entrati a far parte da decenni nella tradizione vinchiaturese.
(Racconto e foto d’archivio di Antonio Nicotera)

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