Mezzanotte, più o meno. È la notte tra il 2 e il 3 giugno. Viale del Plebiscito, Frosinone. Gli studenti cinesi sono in casa, stesso pianerottolo dell’appartamento occupato da Pietro Ialongo e Romina De Cesare. In casa avrebbero dovuto essere in due, un ragazzo e una ragazza ma da qualche giorno è arrivata nella città ciociara un’amica a fare loro visita. Di colpo, dall’appartamento di quella coppia che hanno incrociato spesso nell’atrio, s’iniziano ad avvertire i toni di voce tipici di un litigio. Che salgono fino a diventare urla. Di paura, terrore. Poi una voce di donna che si lamenta, che forse chiede aiuto. Poi il silenzio, interrotto dai passi frettolosi di qualcuno che scende le scale, che sbatte porte e portoni.
Avrebbero confermato tutto quanto già dichiarato nel corso delle dichiarazioni rese immediatamente dopo l’omicidio della 36enne di Cerro al Volturno – uccisa dall’ex fidanzato reo confesso e accusato di omicidio aggravato dalla coabitazione e di stalking – i tre cittadini cinesi per i quali ieri pomeriggio si è tenuto l’incidente probatorio, indispensabile a cristallizzare la loro testimonianza prima del ritorno in patria. Che, di fatto, irrobustisce, come è evidente, il quadro indiziario.
Le due ragazze, una delle quali appunto ospite della casa dalla quale si sarebbero avvertiti nitidamente i segnali della tragedia che si stava compiendo, e il giovane, tutti assistiti da un interprete, avrebbero circoscritto anche l’orario in cui Ialongo avrebbe aggredito la sua ex fidanzata, nell’ingresso dell’abitazione dove, secondo quanto confessato dal 38enne nell’imminenza del fermo, avrebbe provato prima a strangolarla per poi colpirla con 14 coltellate, fendenti che hanno raggiunto la donna al torace, all’addome, alle braccia e ai gomiti.
Per avere le risultanze dell’autopsia serviranno ancora un paio di mesi, mentre la relazione preliminare sull’esame autoptico – anticipata da Primo Piano Molise il 3 giugno scorso – ha stabilito con certezza il numero di colpi inferti sul corpo di Romina, uccisa la notte precedente il suo ritorno a casa. Lo aveva detto al papà, nel corso dell’ultima telefonata. È lunedì 2 maggio, sono le 15.45, Romina avverte il papà – che assieme all’altro figlio sono assistiti dall’avvocato Danilo Leva – che sarebbe arrivata a casa il giorno dopo.
Chissà se quella donna, dal viso dolce e dagli occhi tristi, aveva preparato le valige, se aveva chiuso nel trolley quel che restava della sua vita con Pietro Ialongo, il fidanzato storico per il quale nutriva affetto e comprensione al punto di continuare a viverci insieme anche se ormai l’amore era al capolinea. Chissà se proprio questa consapevolezza, il fatto di perderla per sempre una volta varcata quella soglia, non abbia armato l’uomo, che diceva di amarla ma non accettava che lei avesse una nuova vita, senza di lui. Che avesse un altro amore, un nuovo compagno.
Pietro Ialongo, reo confesso del femminicidio, attualmente richiuso nel carcere di Frosinone, aspetta di conoscere l’esito dell’istanza presentata dal suo legale, l’avvocato Vincenzo Mercolino, discussa ieri mattina al Tribunale del Riesame di Roma. I magistrati della libertà si sono riservati la decisione. All’esito dell’iter, il legale potrebbe predisporre la richiesta di trasferimento nel carcere di Isernia così da consentire al suo assistito contatti più frequenti con la famiglia, ovviamente provata da quanto accaduto.
Quel quadro indiziario, che sfianca di dolore il papà e il fratello di Romina, pesa come un macigno sul destino del 38enne, accusato di aver volontariamente messo fine al respiro della donna che diceva di amare. Che forse avrebbe voluto sposare, alla quale avrebbe giurato fedeltà e amore. «Fino a che morte non ci separi».
ls

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