La testimonianza di Domenico, volontario della Protezione civile di Cercemaggiore guarito dal coronavirus, è un appello a non abbassare la guardia contro un nemico invisibile che colpisce senza preavviso, ma nello stesso tempo è pure la storia di una vittoria ‘corale’ di chi da settimane è in trincea per salvare vite umane.
«Cari compaesani, a distanza di quasi un mese dalla mia positività al Covid-l9, voglio scrivervi questa lettera per raccontare ciò che ho vissuto e per dirvi di fare molta attenzione. Rispettate le regole! Evitate assolutamente di riunirvi cosi come eravate soliti fare prima di questa emergenza, abbiate l’accortezza di fare una spesa ragionata per più giorni, usate scrupolosamente dispositivi di protezione poiché non ci è dato conoscere la rete di contatti ad albero che ciascuno di noi ha.
Sono stato una persona molto scrupolosa sin dall’inizio dell’emergenza in Italia, sia io che la mia famiglia. Nonostante abbia rinunciato alla vita sociale e preso tutte le dovute precauzioni, purtroppo ho contratto il virus.
Avendo vissuto in prima persona questa esperienza posso affermarvi che non si tratta di una semplice influenza, non sono da sottovalutare la sua contagiosità e i rischi che corrono le persone che lo contraggono, e che già hanno altre patologie, e coloro che lo contraggono in maniera forte. Purtroppo non è possibile stabilire in autonomia se si è affetti da questa malattia o se si tratta davvero di una semplice influenza dato che i sintomi iniziali sono identici fino all’insorgere delle complicazioni. Inizialmente anch’io pensavo fosse solo una banale influenza di stagione, o forse più che altro era una speranza, nonostante ciò, avvertiti i primi decimi di febbre, non ho sottovalutato la situazione e per il bene di tutti sono rimasto a casa per più giorni seguendo le procedure indicate dal mio medico di famiglia, evitando così il diffondersi del virus. Pur essendo io una persona forte, come molti di voi sanno, posso dirvi che la morte non è poi sembrata così lontana.
In quelle giornate interminabili trascorse in ospedale, soprattutto i primi giorni quando vedevo la mia cassa toracica sollevarsi ma l’aria non entrava nei miei polmoni, come quando li sentivo inondarsi dell’aria del cielo di Cerce, mi sentivo come un pesce boccheggiare fuori dall’acqua, passavo il tempo ad osservare e riflettere oltre che a parlare con la mia famiglia e gli amici che mi hanno contattato, sostenuto e dimostrato la loro vicinanza. I miei occhi hanno visto persone che sono migliorate, persone che sono peggiorate e persone che dopo gli annunciati miglioramenti all’improvviso sono volate in cielo… Sì, perché è una malattia imprevedibile!
La cosa che più faceva paura era vedere negli occhi dei medici il terrore, vedere il loro sguardo di sgomento quando ponevo la domanda “ce la farò?”. La risposta di un’infermiera mi colpi, poiché rispose: “Tu forse ce la farai, noi forse non ce la faremo”.
Ecco, in questa frase capii che solo essendo responsabili, ognuno nel suo piccolo, ne potremmo uscire. Sono cose già dette e ridette ma è così! Manca l’attrezzatura, mancano i dispositivi di protezione e persino i medicinali. È disarmante essere in quel letto, da cui fai fatica anche ad alzarti per la spossatezza e lo stato confusionale che questo virus ti provoca, dove se suoni il campanello non vengono sempre e subito… No, perché significherebbe cambiare una mascherina, un camice, una tuta e poi non basterebbero per fronteggiare l’emergenza.
È una sofferenza atroce quando ti fanno il prelievo dall’arteria del polso ed è ancora più straziante sentire urlare il tuo compagno di stanza dal dolore. Vedere queste scene e stare chiuso lì ti porta a dare di matto, soprattutto nei primi giorni quando ero in isolamento senza vedere nessuno per ore, a combattere in solitudine contro la “fame d’aria”, la fatica a parlare e a muovere un passo e allora mi sono fatto coraggio ripetendo imperterrito a me stesso il mio motto: «Il leone è ferito ma non è morto».
Questa non è la caccia all’untore, al responsabile, perché tutti siamo vittime, per questo dico e ripeto: seguiamo le regole, abbiamo rispetto del prossimo, siamo altruisti e non egoisti.
Uniti ce la faremo! Restiamo a casa.
Inoltre vogliamo ringraziare in primis il primo cittadino che si è reso disponibile e sensibile, i negozianti che si sono messi a disposizione per la consegna a domicilio e non solo e che fin da subito hanno dimostrato la loro vicinanza e la loro generosità, ringraziamo le due famiglie del vicinato che hanno fatto davvero tanto per noi e che nel periodo del mio ricovero non hanno mai fatto sentire sola la mia famiglia riempiendo i nostri cuori di gioia, tutti gli amici che si sono offerti per qualsiasi bisogno ed infine, ma non perché di minor importanza, ringraziamo i parenti per averci sostenuto in tutti i modi da lontano e da vicino. È di questo che si ha bisogno nella vita! E questo periodo ci sta aiutando a capirlo!
Un abbraccio virtuale a tutti».

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