In decisa frenata l’attività sismica nel Mare Adriatico. Di rilievo solo la scossa da 3.6 registrata nella mattinata di Pasqua alle 9.29. Interessante, in questi giorni di aprile, lo studio portato avanti dall’Ingv e pubblicato sul relativo blog, inerente la sismotettonica nell’area della sequenza sismica in Mar Adriatico
«Sono numerosi i terremoti che, in questi giorni, stanno interessando l’Adriatico centrale nell’area dove è avvenuto il terremoto del 27 marzo 2021 di magnitudo Richter Ml 5.6 e magnitudo momento Mw 5.2. Al momento (2 aprile 2021) sono oltre 120 le repliche di magnitudo compresa tra 2.1 e 4.1: di queste sono diverse quelle di magnitudo tra 3.5 e 4.1. Secondo il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI15), altri tre terremoti di magnitudo superiore a 5.0 hanno interessato questa parte dell’Adriatico centrale lontana dalle coste; uno nel 1988 ad est delle isole di Pelagosa e altri due nel 2003 in corrispondenza dell’isoletta di Jabuka. Questi ultimi, in particolare, appartengono a una sequenza sismica che interessò l’area per diversi mesi, richiamando l’attenzione sul potenziale sismogenetico dell’Adriatico, fino a quel momento sostanzialmente trascurato. Era infatti nota solamente la sismicità delle aree costiere, che aveva fatto registrare eventi anche di magnitudo superiore a 7.0, come il catastrofico terremoto del Montenegro del 15 aprile 1979 (Mw 7.1). Come già detto nel precedente post del 27 marzo, prima degli anni ’80, in assenza di una Rete Sismica Nazionale centralizzata, anche terremoti di magnitudo paragonabile a quello del 27 marzo 2021 potrebbero essere passati pressoché inosservati. Ma qual è l’origine di questi terremoti? Per capire la causa della sismicità dell’Adriatico dobbiamo osservarne la sua posizione geografica. Questo mare si trova confinato tra due catene montuose, le Dinaridi e l’Appennino. Come sappiamo, la litosfera è suddivisa in blocchi (placche) in continuo movimento, per cui i loro bordi sono soggetti a sforzi di trazione, compressione e scorrimento: lungo i bordi che si trovano in compressione si formano delle catene montuose. Il bacino del Mediterraneo si trova in corrispondenza di un complesso “puzzle” di placche e microplacche. Il dominio adriatico corrisponde alla microplacca Adria che, per effetto della spinta della placca Africana verso NNE, si “incunea” nella placca Europea, creando una indentatura con conseguente compressione e deformazione lungo i bordi. Il risultato è la formazione di due catene montuose che si “fronteggiano”: gli Appennini a SW e le Dinaridi a NE. Ciascuna delle due catene tende ad avanzare verso l’altra e questo processo vede coinvolte porzioni sempre maggiori del fondale Adriatico, al punto che, allo stato attuale delle cose, le porzioni sommerse di entrambe le catene sono avanzate fino a incontrarsi più o meno al centro dell’Adriatico stesso. Questo processo porterà alla chiusura di questo bacino e all’emersione del fondale in tempi che però sono geologici (noi non lo vedremo e potremo continuare a fare il bagno sulle coste). Il movimento di convergenza, infatti, è mediamente molto lento, di pochi millimetri all’anno.
Il sistema di faglie interessato
La faglia che ha prodotto il terremoto del 27 marzo 2021 (HRCS004 in Figura 3) e la restante sismicità associata è la porzione più meridionale di un esteso sistema di cui fa parte anche la faglia che ha prodotto il terremoto di Jabuka del 29 marzo 2003 (Mw 5.4: HRIS001 e HRCS020). Nel Database DISS (Basili et al., 2018) questo sistema di faglie è rappresentato da tre sorgenti sismogenetiche composite (denominate Eastern Adriatic Offshore North, Central e South) che hanno parametri pressoché identici, ma uno slip rate (cioè il tasso di movimento sul piano di faglia, mediato sul lungo termine) leggermente diverso. Per la porzione meridionale, interessata dalla sequenza di questi giorni, lo slip rate è stimato in 0.2 millimetri all’anno (Kastelic e Carafa, 2012). A causa della loro collocazione in mare aperto, che non ne rende agevole l’identificazione e l’indagine diretta, queste faglie sono state oggetto di studio solo in tempi relativamente recenti. Un importante contributo alle conoscenze scientifiche nell’area è fornito dalle indagini per la ricerca di idrocarburi. Le sezioni di sismica a riflessione effettuate (una specie di “ecografia” della crosta terrestre) e i pozzi esplorativi perforati per la ricerca di idrocarburi permettono infatti di ricostruire la stratigrafia dei sedimenti e la geometria delle strutture crostali anche nelle aree sottomarine. È stato così possibile intercettare anche le porzioni più avanzate delle catene dinarica e appenninica e individuare le faglie principali, oltre a numerose complessità causate dalla presenza di diapiri salini. Questi ultimi sono formazioni rocciose formate prevalentemente da salgemma e altri minerali di natura evaporitica: sono meno dense e più plastiche delle rocce che le circondano e tendono quindi a risalire verso l’alto, contribuendo alla deformazione degli strati di sedimenti soprastanti. Il sistema di faglie interessato dai terremoti del 2003 nei pressi di Jabuka è visibile in una sezione di Fantoni e Franciosi (2010..
La faglia interessata dai terremoti di questi giorni si trova sul prolungamento meridionale di questa struttura. Una sintesi sulla sismotettonica dell’area adriatica si trova in Kastelic et al. (2013)».

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