Nell’ultimo anno le imprese italiane hanno subito una riduzione dei prestiti bancari per un importo complessivo pari a 30,4 miliardi di euro. A livello regionale le realtà imprenditoriali più colpite dalla stretta creditizia sono state quelle ubicate in Molise (-6,68%), in Sardegna (-5,15%), in Calabria (- 5,11%) ed in Umbria (-4,44%). Sono questi i dati emersi da una analisi sul credit crunch realizzata dalla CGIA di Mestre su dati della Banca d’Italia. “E’ vero che è in calo anche la domanda di credito, tuttavia un crollo nelle erogazioni di queste dimensioni, sottolinea Giuseppe Bortolussi della CGIA di Mestre, sta mettendo a dura prova la tenuta finanziaria soprattutto delle piccole e micro imprese”. Ma a preoccupare la CGIA è anche un altro aspetto che costituisce una vera e propria anomalia tutta italiana. “Quasi l’80% degli impieghi alle imprese non finanziarie, prosegue Bortolussi, va al 10% dei migliori affidati, ovvero alla migliore clientela. Qualcuno, giustamente, potrebbe obiettare che è giusto così. I soldi devono andare a chi è solvibile. In realtà quando vai a misurare le sofferenze bancarie, vale a dire la capacità di restituire il prestito ricevuto nei tempi e nei modi prestabiliti, ci accorgiamo che in capo a quel 10% pesa quasi l’80% delle insolvenze totali. Insomma, i soldi vanno a pochi che non sono per niente affidabili, penalizzando così la quasi totalità delle imprese, vale a dire l’altro 90%, che riceve le briciole, pur dimostrando di essere solvibile”. L’analisi prosegue focalizzando l’attenzione su chi costituisce quel 10% di clientela “privilegiata”, affermando che “quasi sicuramente non è costituita da artigiani, da negozianti o da piccoli imprenditori”. “Questo 10%, secondo la CGIA, è riferibile a quei pochi grandi gruppi e società industriali che sono rimasti nel nostro Paese”. Infatti, non è un caso che nei consigli di amministrazione dei principali istituti bancari, che controllano buona parte del mercato del credito, siano seduti i big delle nostre grandi imprese o i liberi professionisti e i manager a loro riconducibili. Potrà sembrare eccessivo, spiega la CGIA, ma è evidente che “le piccole imprese”, sempre più a corto di liquidità, “stanno finanziando indirettamente quelle più grandi”.

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