«È stato l’onore della mia vita essere una piccola parte del suo miracolo».
Da ragazzina le avevano diagnosticato la sindrome di Mayer Rokitansky Küster Hauser. Una condanna senza appello: nata senza utero, non avrebbe mai potuto avere un bambino.
Nel 2016 la sua vita ha incrociato quella di Giuliano Testa, che al Baylor di Dallas ha costituito un team di esperti per una sperimentazione davvero originale. Lei è una delle dieci donne selezionate per il trapianto dell’utero. Pochi mesi fa, a novembre 2017, ha stretto tra le braccia un bambino, suo figlio. Bellissimo e sano.
Un miracolo laico, realizzato dal talento e dal cuore di chi è capace di cambiare in meglio l’esistenza degli altri. Grazie alla lettera di questa donna, da cui è tratta la frase che apre l’articolo, Giuliano Testa è stato inserito dalla rivista Time fra le 100 persone più influenti al mondo.
Solo due gli italiani insigniti. Testa, chirurgo 56enne che tutti descrivono «originario di Padova», lavora al Baylor University Medical Center di Dallas ed è a capo del team che ha realizzato il primo trapianto di utero negli Usa. E l’astrofisica Marica Branchesi: professore associato del Gran Sasso Science Institute che lavora per l’Istituto nazionale di Fisica nucleare ed è una delle persone che hanno permesso di ascoltare l’universo attraverso la registrazione delle onde gravitazionali.
Giuliano Testa, in realtà, ha origini molisane. I suoi nonni erano di Cercemaggiore, lì è sepolto suo padre, scomparso di recente. L’amministrazione guidata da Vincenza Testa lo accoglierà ad agosto per conferirgli la cittadinanza onoraria. Con immenso orgoglio, come è facile intuire, per un ‘figlio’ di Cercemaggiore che mai ha dimenticato le sue radici. Anzi, in questa intervista ammette con grande sincerità di considerare le parole della sua paziente e il riconoscimento del suo paese d’origine più importanti del premio, pur così prestigioso, del Time.
Dottor Testa, è una delle 100 persone più influenti al mondo: come ci si sente?
«Non è che la mia vita sia cambiata molto. Sono molto più onorato delle parole che la mia paziente ha scritto nella lettera che poi ha ‘scatenato’ la nomina per questo riconoscimento. Quella è una cosa che mi ha fatto molto piacere e che porterò con me per il resto della vita. I titoli sono cose che lasciano il tempo che trovano. È una gloria passeggera. Quella lettera, le parole che ha detto la mia paziente, sono cose che restano».
Due italiani in questa classifica. Per quasi tutti lei è di Padova, ma in realtà è molisano.
«Noi siamo meridionali trapiantati al Nord. Neanche papà è nato in Molise in realtà, ma la nostra famiglia, la famiglia Testa, è di Cercemaggiore. Io mi sento parte di quella discendenza. La mamma era siciliana. All’età di quattro anni sono andato a Padova, da lì viene l’accento che ho quando parlo italiano, e lì ho compiuto gli studi. Chiaramente, avendo fatto l’università là e avendo passato lì tanti anni, prima di venire in America, sono anche un ‘prodotto’ della cultura padovana».
Si ritiene una prova del fatto che fuori dall’Italia i talenti vengono valorizzati di più? O la sua scelta è stata casuale?
«No, la mia scelta non è stata casuale. Intanto, ho un punto di vista personale sui talenti in Italia. Credo che in Italia non ci sia una mancanza di talenti. Basta guardare Marica Branchesi, l’altra italiana che ha ricevuto il riconoscimento: ha fatto tutto il suo percorso di studi in Italia e lì sono basate le sue ricerche adesso. È lei la prova che non è vero che i talenti se ne vanno e in Italia non rimane nessuno.
La mia scelta di andarmene è inserita in un quadro familiare. Mio nonno Angelo che era di Cercemaggiore, era andato a fare il suo lavoro fuori e a quei tempi c’erano ancora più difficoltà di quelle che ho incontrato io ad andare in America nel 1990. Mio padre ha girato mezza Italia, tra la Sicilia e la Sardegna, prima di finire a Padova e poi a Pordenone dove ha concluso la sua bellissima carriera. A modo suo è stato un emigrante anche lui. Io e mio fratello abbiamo solo allargato gli spazi. Lui è andato in Romania, dove è imprenditore, e io sono venuto negli Stati Uniti. Ma è stata una scelta. L’unico motivo vero è il fatto di volerci provare, come chirurgo, in un ambiente dove sapevo che avrei avuto possibilità di capire se ero in grado di fare quel lavoro prima di quando avrei potuto farlo in Italia. In Italia purtroppo i tempi si allungano un po’, io ero un po’ ‘aggressivo’, diciamo, come giovane e mi sono detto: voglio vedere se riesco a fare questo lavoro quando ho ancora il tempo di cambiare idea se vedo che non ne sono capace. Poi la vita mi ha portato a rimanere qua. Evidentemente ero capace, non lo so… Comunque è andata bene».
Qualcuno parla di lei come di un ‘mago dei trapianti’. Ci dica di più della sua attività.
«Guardi, se ho qualcosa di Cercemaggiore e del Molise, di quello che la mia famiglia ha insegnato a me e mio fratello, è l’umiltà: le cose si fanno in silenzio, si fanno bene, si fanno con passione, cosa che non è mai mancata ai Testa, e per questo io mi ritrovo quando vado a Cercemaggiore. Mi ricordo i racconti di mia nonna: mi diceva che il nonno, che faceva il professore e aveva tre lauree, quando tornava a Cerce andava in un’osteria e suonava insieme ai suoi amici: persone che non avevano studiato ma questo non significa che non erano intelligenti o migliori di lui. Erano semplicemente persone che non avevano studiato. Questo è un insegnamento che mi è rimasto. Per cui la definizione ‘mago’ la rifiuto a priori. Faccio il chirurgo dei trapianti, mi sono dedicato tanti anni ai trapianti da vivente, e ho effettivamente un certo riconoscimento qui in America e al di fuori degli Stati Uniti per quello che ho fatto, e poi c’è stata questa esplosione del trapianto di utero che non mi aspettavo neanche. L’ho iniziato perché ho pensato fosse un programma affascinante e che avrebbe fatto veramente la differenza per molte donne e poi mi sono trovato in un tourbillon di cose come questa intervista per esempio…».
Sua moglie non è italiana né americana: una famiglia cosmopolita.
«Sì, diciamo che viviamo una situazione interessante. Abbiamo una bambina, che ha quasi dieci anni, nata in America. Scherzando diciamo che è l’unica americana che ha il passaporto giusto perché noi non abbiamo mai cambiato la nostra cittadinanza. Io sono cittadino italiano e Ursula è cittadina tedesca. Essere in America è diventata poi una scelta di vita perché qui posso fare le cose che mi fanno felice sul lavoro. Mia moglie è una donna fenomenale e accetta questo come la sua vita. Ma i nostri valori, la nostra cultura, la nostra storia le nostre famiglie: abbiamo tutto in Europa. Non abbiamo niente qua negli Stati Uniti».
Lei ha ancora familiari in Molise? E che rapporto ha con la sua terra d’origine?
«Abbiamo parenti tra Cercemaggiore e San Giuliano del Sannio. Esiste una vitalità e una passione a Cercemaggiore, e in generale nel Molise, che è rinfrescante sotto molti punti di vista. Credo sia un posto dove ancora ci si può ritrovare attorno a un tavolo e parlare e discutere. Ho visto a Cercemaggiore un paio di iniziative realizzate dai giovani che ti fanno capire che esiste la volontà, la passione per i luoghi di cui uno fa parte, per la storia a cui uno appartiene. Queste sono cose che è bellissimo ritrovare e in cui io mi ritrovo moltissimo. Forse sono nostalgico perché sono emigrante. Emigrante diverso da quelli che sono andati via 60, 70 anni fa. Io torno quando voglio, sono praticamente a dieci ore d’aereo da Roma. È un’altra vita la mia».
E torna spesso?
«Sì, soprattutto quando mio padre era in vita. Lui è sempre stato il fulcro per me e mio fratello, il collante. Finché era vivo, ogni occasione di lavoro in Europa era un’occasione per fare un bel tour e venire a trovare papà. Lui non era nato a Cercemaggiore, ma a Terracina perché suo padre allora lavorava nel Lazio. Cerce però ha rappresentato sempre l’unica vera alternativa alla casa che si era costruito a Padova dove noi siamo cresciuti. Per cui in un certo senso ha un valore fondamentale per tutti noi, infatti mio padre è sepolto a Cercemmaggiore. Lì lui aveva organizzato una riunione che aveva chiamato ‘la riunione dei cugini’. Tre anni fa aveva riunito tutti quelli che gravitano intorno alla famiglia Testa per far conoscere a loro Gianluca, che è mio fratello, me e le nostre famiglie».
Una sorta di passaggio del testimone. Che adesso si consacra con la cittadinanza onoraria.
«Per me la cittadinanza onoraria a Cercemaggiore è un onore altrettanto, se non più grande, di quello del Time. Perché onestamente quelli del Time di me non sanno niente, non sanno della mia famiglia, da dove vengo e le decisioni che hanno portato i miei antenati a viaggiare, a conoscere, a studiare, a migliorarsi. Cerce per me rappresenta un punto di partenza, se non fosse stato per il nonno che aveva studiato, se non fosse stato per mio padre che ha preso le decisioni che ha preso, io qua non ci sarei neanche dipinto».
Molise umile, terra di valori veri. Ma cosa serve per far fare a questa terra il salto di qualità che attende da anni?
«Dal mio punto di vista bisogna guardare agli esempi di persone come mio nonno. Lui, venendo da una comunità prettamente contadina, è riuscito con mezzi molto umili a fare quello che ha fatto. Valorizzare questi esempi e la storia da dove veniamo è un ottimo punto di partenza. In America, inoltre, esiste l’incredibile capacità di non criticare negativamente le idee. Se io avessi avuto l’idea di fare il trapianto di utero in Italia, o anche in Germania, sicuramente la prima risposta sarebbe stata: sì, ma… C’è sempre un ‘ma’. Invece qui in America ti dicono: interessante, parliamone di più, spiegami perché. È l’approccio all’iniziativa che è veramente fondamentalmente diverso. È quel ‘ma’ che uccide molto spesso l’iniziativa dei giovani. Togliamo il ‘ma’ e guardiamo al ‘perché’, a come si può veramente fare. E poi proviamo a superare gli ostacoli. Se si continua a vedere gli ostacoli come insormontabili non credo ci siano molte possibilità. Abbiamo un sacco di qualità. Io non sono una persona diversa da quella che sarei se fossi in Italia. La realtà poi mi ha fatto cambiare mentalità o idea rispetto a certe cose. Ma quest’apertura, questa qualità, ce l’abbiamo già in partenza».
rita iacobucci

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.