Con cinque punti sopra la media, ferma a 49,31, Campobasso si piazza alla 35esima posizione tra i capoluoghi di provincia italiani monitorati, nel 2013, nell’ambito della XXI edizione di Ecosistema Urbano, il rapporto di Legambiente sulla vivibilità ambientale dei capoluoghi di provincia italiani realizzato in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Ambiente Italia e Il Sole 24 Ore.
Quella che viene fuori dallo studio è ancora un’Italia divisa in due in cui a fare la parte del leone è il Nord mentre il Mezzogiorno si attesta sulle ultime posizioni. Sotto la lente i vari indici che vanno dal consumo e dallo spreco di acqua alla capacità di depurazione, passando per le emissioni particolari e il consumo di energia elettrica. Purtroppo in buona parte dello Stivale si tratta di una situazione che non è poi così favorevole: sempre più persone scelgono di muoversi in auto, i livelli di polveri tossiche sono spesso ad un livello di allarme (a Campobasso il livello di PM10 è bassissimo) e come se non bastasse anche il trasporto pubblico non brilla (non a caso il Sole 24 Ore tra le opere incompiute cità proprio il terminal degli autobus di Campobasso).
Ad occupare le prime cinque posizioni nel Rapporto sono Verbania, Belluno, Bolzano, Trento e Pordenone, tutte città del Nord dove comunque si registrano anche diversi dati negativi: ad esempio a Trento ci sono eccessivi valori di biossido di azoto, mentre a Verbania e Belluno si perde un terzo dell’acqua immessa in rete. A Pordenone si depura poco più della metà dei suoi scarichi fognari. Situazioni complicate che diventano ancora più difficili quando si vanno ad analizzare le realtà che sono in fondo alla classifica come Agrigento e Isernia (al penultimo posto), Crotone e Messina, Catanzaro e Reggio Calabria.
Il problema di molte città è che manca una visione globale, che spesso influisce negativamente anche sulla distribuzione delle risorse. La situazione però appare molto diversa in alcune realtà dell’Europa dove i fondi a disposizione vengono concentrati su piccoli interventi che hanno l’obiettivo di rimediare agli errori fatti nel passato, denaro che la gran parte delle volte viene utilizzato per far accrescere la qualità dei servizi e la vivibilità. Insomma l’Europa diventa un parametro col quale le amministrazioni italiane devono confrontarsi per capire se la strada intrapresa è giusta o ha bisogno di alcune aggiustatine soprattutto quando si ha a che fare con le politiche ambientali. Il dato che emerge da Ecosistema urbano XXI e che i comuni italiani vanno a tre velocità: sono lente, lentissime e statiche. “Ci sono però anche i segnali di cambiamento: il successo della raccolta differenziata a Milano e Andria, il car-sharing a Roma e Milano, le pedonalizzazioni a Bologna, la mobilità a Bolzano – dichiara il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – pochi segnali positivi in una situazione bloccata. Quello che davvero manca è la capacità di immaginare il traguardo, il punto d’arrivo verso cui tendere, sia nel breve che nel lungo o lunghissimo periodo. In assenza di obiettivi chiari e ambiziosi – prosegue Cogliati Dezza – le nostre città non andranno da nessuna parte, schiacciate come sono da logiche parziali e settoriali, a compartimenti stagni. Eppure è proprio la crisi economica in edilizia, la pessima qualità della mobilità urbana e periurbana, le opportunità offerte dalla digitalizzazione e dalle nuove tecnologie energetiche che rendono possibile e necessario avviare concreti percorsi di rigenerazione urbana. Serve un piano nazionale che assegni alle città un posto di primo piano nell’agenda politica che superi la frammentazione dei singoli provvedimenti e mostri una capacità politica di pensare un modo nuovo di usare e vivere le città. Purtroppo, il decreto Sblocca Italia rappresenta solo l’ennesima occasione persa. E le città pagheranno anche questo”.
Per il XXI Rapporto, sono 18 gli indicatori su cui si sono dati ‘battaglia’ i 104 capoluoghi di provincia. Per la qualità dell’aria sono stati esaminati le concentrazioni di polveri sottili, il biossido di azoto e ozono. Tre indici anche per la gestione delle acque consumi, dispersione della rete e depurazione. Due i parametri sui rifiuti: produzione e raccolta differenziata. Sempre due sul trasporto pubblico: offerta e l’uso che ne fa la popolazione. Cinque sulla mobilità: tasso di motorizzazione auto e moto, modale share, indice di ciclabilità e isole pedonali). Un parametro sull’incidentalità stradale, due sull’energia (consumi e diffusione rinnovabili). Quattro indicatori su diciotto selezionati per la classifica finale (tasso di motorizzazione auto, tasso di motorizzazione moto, incidenti stradali e consumi energetici domestici) utilizzano dati pubblicati da Istat. Nel complesso, l’inquinamento atmosferico resta a livelli di emergenza, i dati sugli spostamenti in auto e moto, supportati da un tasso di motorizzazione in leggero aumento. Dati poco incoraggianti pure sul fronte del trasporto pubblico. La congiuntura economica negativa intacca anche la produzione di rifiuti. Nel 2013 la produzione pro capite scende a una media di 541 kg/abitante (-3,4% rispetto all’anno precedente), mentre la raccolta differenziata arriva al 40,8% (+3,9%).

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