Due anni fa il barbaro omicidio in Kenya di Rita Fossaceca. Era la sera del 28 novembre 2015 quando la dottoressa di Trivento, radiologa all’ospedale di Novara, fu uccisa da un commando di rapinatori nel piccolo villaggio di Watamu, del distretto di Malindi, a nord di Mombasa.
In Africa per conto della ‘For Life Onlus’, associazione umanitaria internazionale, era tornata nell’orfanotrofio da lei creato per realizzare il suo sogno: aiutare i bambini. In quel viaggio l’avevano accompagnata per la prima volta i genitori e lo zio, don Luigi Di Lella. Rita fu raggiunta da un colpo di pistola mentre cercava di proteggere la madre, assalita con un machete. I banditi ferirono anche gli altri suoi familiari presenti, il padre, lo zio sacerdote e due infermiere. E mentre oggi, giorno del secondo anniversario della scomparsa, i familiari della dottoressa e la comunità di Trivento la ricorderanno con la preghiera, in Kenya si avvia verso la conclusione il processo per il delitto.
Le udienze ormai sono agli sgoccioli e il verdetto dei giudici dovrebbe arrivare tra la fine dell’anno e i primi mesi del 2018. Sul banco degli imputati ci sono due persone, accusate a vario titolo di aver preso parte al piano per assaltare la casa del medico molisano, ma gli altri complici del commando non sono mai stati individuati e incriminati. Il processo ha vissuto la sua fase più importante durante lo scorso mese di agosto quando, per alcuni giorni, le udienze si sono spostate in Italia. I giudici sono arrivati a Roma e hanno raccolto alcune fondamentali testimonianze nella sede dell’ambasciata del Kenya in Italia, quelle dei familiari di Rita Fossaceca, assistiti dall’avvocato Giulia Lozzi. È toccato a loro, i genitori e lo zio sacerdote, ricostruire in ogni dettaglio i fatti di quella tragica sera.
Nella stessa circostanza sono state sentite anche le due infermiere di Novara che erano impegnate come volontarie in Kenya insieme alla dottoressa molisana. Come è noto dopo l’omicidio, due anni fa, anche la Procura di Roma aprì un fascicolo penale, disponendo una rogatoria internazionale.
Le indagini furono affidate al pubblico ministero Sergio Colaiocco, lo stesso che si è occupato del caso di Giulio Regeni.

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