I soldi della sanità non sono della sanità, Toma dixit. Come Di Pietro nell’assai più famoso mia moglie non è mia moglie…
Era uno dei momenti di più alta tensione coi 5 Stelle. All’onorevole Federico, che contestava il prestito di 15 milioni che la Gsa aveva fatto al bilancio regionale addossando al presidente la responsabilità di una decisione che riteneva borderlin, il governatore – pur specificando sempre di non aver dato nessuna indicazione anche perché esautorato dal commissariamento – facendo base sul mestiere di commercialista assicurò che comunque i soldi della sanità non sono della sanità.
Essendo commissariato, non partecipa al tavolo tecnico, non è invitato. Altrimenti avrebbe potuto spiegare che i soldi della sanità non sono della sanità ai tecnici del Mef che gli hanno messo nero su bianco un’altra verità: che sui soldi della fiscalità – Irpef e Irap che i molisani pagheranno ancora una volta maggiorate in riferimento all’anno di imposta 2019 – il bilancio della Regione, attribuzione assessorile che Toma tiene saldamente nel suo carnet e dunque è sua competenza e responsabilità, non può mettere lingua. Né le mani.
La storia è sempre quella dei 4.2 milioni entrati nel 2018 nelle casse di Palazzo Vitale – e arrivati dalle tasche dei molisani – che il bilancio non ha trasferito ancora alla sanità. Sono stati usati per pagare il mutuo contratto dal governo Iorio nel 2007, questo ha sempre dichiarato Toma, a cui lo avrebbe dichiarato la struttura. Per il tavolo tecnico, però, solo 2 milioni dell’intero bottino della fiscalità possono essere utilizzati per quello scopo. Il resto deve finire alla direzione Salute e da lì a finanziare ospedali, case della salute, laboratori. Insomma assistenza sanitaria. E così non è stato.
È uno dei passaggi più duri del verbale della riunione del 24 luglio. E anche se il tavolo Adduce non ha il presidente della Regione come interlocutore è a lui che la censura si rivolge perché è lui il titolare del bilancio. Ad aprile una determina dirigenziale della Dg Salute ha impegnato 13.3 milioni della manovra fiscale. «A fronte – si legge nel verbale – di una stima aggiornata dal competente Dipartimento delle finanze e comunicata a dicembre 2018 per l’anno d’imposta 2019, al netto di 2 milioni di euro destinati al rimborso della rata del mutuo, di 17.8 milioni». Un atto grave che mette a rischio l’equilibrio del servizio sanitario regionale, scrivono i ‘ragionieri’ di Roma, che ricordano pure come le manovre fiscali delle Regioni in piano di rientro siano «obbligatoriamente accertate e impegnate dal bilancio regionale» e possano «essere disimpegnate solo a seguito di espressa autorizzazione dei Tavoli tecnici. Il bilancio regionale, pertanto, non dispone di tali aliquote che sono obbligatoriamente destinate al Ssr». Di qui il richiamo al bilancio regionale «ad assicurare la coerenza con le leggi dello Stato con ogni urgenza possibile» e a non «compromettere la sostenibilità del Servizio sanitario regionale e la conseguente corretta erogazione dei Lea».
E pensare che il giorno prima la giunta guidata da Toma aveva deliberato la proposta di legge che, in variazione al bilancio di previsione 2019, copre i 15.6 milioni di disavanzo della sanità del 2018 trasferendo anche i 4.2 famigerati. Peccato che oggi – oltre due mesi dopo – il Consiglio regionale non risulta aver nemmeno avviato l’esame del ddl. Ai commissari che facevano cenno alla manovra ‘salvifica’ del governatore, il tavolo Adduce a luglio rispose: aspettiamo il trasferimento concreto dei fondi. Lo stanno ancora aspettando.

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