«Non mi sento un cervello in fuga. Il mio naturale percorso evolutivo mi ha condotto altrove». L’altrove di Silvia Sticca si chiama Roma. Per ora.
Torna a Campobasso dalla sua famiglia, e per dedicarsi a percorsi di vita associativa che non ha mai lasciato, appena può. È una giovane molisana che sta facendo parlare un gran bene di sé. Avvocatessa, oggi assistente giuridico al Csm e impegnata nella promozione della cultura della legalità. Dall’Unimol, dove si è laureata, ha poi spiccato il volo occupandosi proprio di ciò che voleva. Occasioni, di approfondimento e ricerca nonché di lavoro, che nella sua terra non avrebbe avuto. Terra a cui però la lega un affetto profondo, che la induce – per esempio – a rilanciare l’allarme e l’appello a non sottovalutare il potenziale di infiltrazione delle mafie, che hanno cambiato pelle e non sparano più, ammazzano diversamente. Ammazzano l’economia sana e di fatto costringono giovani e meno giovani a fare la valigia perché infettando il tessuto produttivo creano il deserto.
Chi è Silvia Sticca?
«Mi sono laureata all’Unimol in Giurisprudenza, poi sono andata a Roma e ho condotto studi specialistici, ho conseguito un master in cooperazione internazionale e ho cominciato l’iter nell’avvocatura. Fino all’anno scorso esercitavo, lavoravo in uno studio legale che si occupa di diritto societario. Da settembre 2019 sono al Csm come assistente giuridico di un componente consigliere. Collaboro inoltre con la Commissione parlamentare Antimafia per lo studio della criminalità organizzata straniera».
L’avvocatessa Sticca è una donna che non si ferma mai quindi.
«Diciamo che mi piace cogliere le nuove occasioni che mi si prospettano. Questa al Csm è per me una nuova sfida che mi permette di valorizzare l’attività di ricerca e mettermi in gioco. Una sfida che sto affrontando con entusiasmo anche perché metto in pratica gli approfondimenti che ho portato avanti in questi anni. In questo ruolo si svolgono attività uniche e nella sede deputata a trattare i temi che riguardano la magistratura. Un po’ come scoprire nuovi mondi. E questo dà soddisfazione alla mia propensione agli studi che è sempre stata multidisciplinare».
Avvocato o magistrato: sono gli sbocchi più consueti per chi ha seguito il suo corso di studi. Lei invece adesso è una giurista pura.
«Sì, esatto. Un ruolo che mi dà l’opportunità di applicare quello che ho studiato in chiave interpretativa ed evolutiva. Ci si interfaccia con le istituzioni, gli organi di rilievo, si trattano le riforme che interessano la giustizia. Ricerca, studio, confronto continuo: elementi caratterizzanti della figura del giurista che si adattano a quello che è il mio orientamento, di formazione e professionale».
Ha avuto attenzione e critiche positive una sua riflessione sulla rivista “7colonne” dell’associazione omonima di cui fa parte. Ha analizzato la ‘mafia silente’.
«L’associazione è nata da poco. Ne fanno parte figure che appartengono a varie professionalità, tra cui operatori del diritto e della sicurezza. Lo scopo è la realizzazione di iniziative che riguardano la formazione nei settori criminologici e investigativi, l’organizzazione di eventi in tal senso e non solo. Il filo conduttore è la promozione della legalità nella società. A causa della pandemia non abbiamo potuto tenere incontri per presentarla ma contiamo di farlo da settembre. Le formule della promozione saranno diverse. Per esempio, convegni tematici e specialistici, penso all’evoluzione delle mafie al Nord e all’estero, aspetto di cui mi occupo. Nelle scuole, invece, dove pure vogliamo portare una formazione che permetta di generare consapevolezza e pensiero critico, tratteremo l’aspetto storico delle mafie».
In Molise, che non è più considerato isola felice, forse ancora non c’è la piena consapevolezza di quanto siano già in parte riusciti i tentativi di infiltrazione. Nessun controllo militare del territorio da parte di clan radicati. Ma questo non è rassicurante.
«No, infatti, non è una rassicurazione. Le mafie, da anni, si sono evolute. Lo dimostrano le relazioni della Dia e le operazioni delle Dda. Non esiste più il metodo mafioso fondato sulle ‘milizie’, non c’è più la criminalità che occupa le strade militarmente. Sicuramente, al contrario, emerge che le mafie operano nella zona grigia, dove si incontrano l’economia, i colletti bianchi, persone interessate a riciclare capitali, capitali che possono partire anche dal Molise e finire all’estero. Oggi tutti rievocano e seguono uno degli insegnamenti di Giovanni Falcone: follow the money. Bisogna seguire il denaro in chiave internazionale, seguire le tracce e fare ricerche sul campo: dove c’è stato inquinamento dell’economia legale, quanto i capitali illeciti possano arrecare danni alle imprese. In questo senso la criminalità di oggi impoverisce le realtà locali, è una minaccia che cambia per il tessuto produttivo, una minaccia invisibile. Il Molise confina con regioni in cui sono radicati clan criminali interessati a inquinare l’economia locale. Non a caso Cosa nostra è chiamata anche Cosa nostra Spa: la criminalità si è reinventata, quasi fosse una multinazionale del crimine. Una multinazionale che però sui territori, impoverendoli in termini di occupazione e investimenti, ha anche l’effetto di accrescere lo spopolamento».
Torniamo a parlare di lei: si sente un cervello in fuga da una terra che non le ha dato occasioni?
«Guardi, no. Non mi sento un cervello in fuga. Piuttosto penso di aver seguito un percorso evolutivo che mi ha condotto altrove. Ho sempre avuto un legame forte col Molise, una vita associativa qui che non ho lasciato. E Unimol mi ha dato tutti gli strumenti per proseguire sulla mia strada professionale. Credo che sia anche giusto andare oltre i confini per capire qual è il proprio percorso naturale. Qui avrei potuto continuare alcuni studi, ma il mio percorso naturale sarebbe stato comunque altrove».

rita iacobucci

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