Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli. No! Campobasso. Centro città, di fronte al mercato coperto. Ieri, poco dopo l’ora di pranzo.
Prima di salire in redazione sono passato per un caffè a casa di amici.
In un capoluogo pressoché deserto c’era una donna, avrà avuto meno di 60 anni. Portati male. Vestita con indumenti di fortuna, molto sporca. Il volto segnato dalla sofferenza. Era china sui cassonetti dell’immondizia, rovistava tra i sacchi dei rifiuti e metteva da parte, immagino, quello che poteva esserle utile.
Mi sono avvicinato con molta discrezione. Non volevo spaventarla e nemmeno urtare la sua sensibilità. Le ho teso la mano, le ho chiesto se avesse bisogno di aiuto. Le ho volgarmente mostrato una banconota, pregandola di accettarla.
Tutto inutile, si è messa ad urlare, imprecare. Mi ha fatto allontanare, mostrandomi il bastone con cui rovistava tra l’immondizia. Prima di assecondarla le ho chiesto se si fosse rivolta alla Caritas, se conosceva don Franco. Le ho detto che avrei potuto accompagnarla. Ha chinato la testa e ha continuato a rovistare, facendomi cenno di allontanarmi.
Non so chi sia, non l’avevo mai vista. Ma non credo che quella di ieri fosse la sua prima volta tra i cassonetti.
Faccio fatica ad immaginare che ciò possa accadere nel nostro piccolo Molise, nella nostra Campobasso. Ma è proprio così.
Forse quella donna non è molisana, ma le poche parole che mi ha rivolto mi sono sembrate familiari.
Mi chiedo: può essere che non ha un fratello, un figlio, un nipote, un cugino, un parente, anche lontano, che possa prendersi cura di lei?
Rivolgo un appello affettuoso e sentito al sindaco di Campobasso Antonio Battista, persona generosa, all’assessore alle Politiche sociali (anche se in queste ore senza delega) Alessandra Salvatore e a tutti coloro che hanno la possibilità e i mezzi per agire. Lo faccio citando un passaggio del superlativo discorso di fine anno del Presidente Mattarella: «(…) Sentirsi “comunità” significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa “pensarsi” dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese. Vuol dire anche essere rispettosi gli uni degli altri. Vuol dire essere consapevoli degli elementi che ci uniscono e nel battersi, come è giusto, per le proprie idee rifiutare l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creano ostilità e timore. So bene che alcuni diranno: questa è retorica dei buoni sentimenti, che la realtà è purtroppo un’altra; che vi sono tanti problemi e che bisogna pensare soprattutto alla sicurezza. Certo, la sicurezza è condizione di un’esistenza serena. Ma la sicurezza parte da qui: da un ambiente in cui tutti si sentano rispettati e rispettino le regole del vivere comune. (…) Non sono ammissibili zone franche dove la legge non è osservata e si ha talvolta l’impressione di istituzioni inadeguate, con cittadini che si sentono soli e indifesi. La vera sicurezza si realizza, con efficacia, preservando e garantendo i valori positivi della convivenza. Sicurezza è anche lavoro, istruzione, più equa distribuzione delle opportunità per i giovani, attenzione per gli anziani, serenità per i pensionati dopo una vita di lavoro: tutto questo si realizza più facilmente superando i conflitti e sostenendosi l’un l’altro. Qualche settimana fa a Torino alcuni bambini mi hanno consegnato la cittadinanza onoraria di un luogo immaginario, da loro definito Felicizia, per indicare l’amicizia come strada per la felicità. Un sogno, forse una favola. Ma dobbiamo guardarci dal confinare i sogni e le speranze alla sola stagione dell’infanzia. Come se questi valori non fossero importanti nel mondo degli adulti. In altre parole, non dobbiamo aver timore di manifestare buoni sentimenti che rendono migliore la nostra società. Sono i valori coltivati da chi svolge seriamente, giorno per giorno, il proprio dovere; quelli di chi si impegna volontariamente per aiutare gli altri in difficoltà. Il nostro è un Paese ricco di solidarietà. Spesso la società civile è arrivata, con più efficacia e con più calore umano, in luoghi remoti non raggiunti dalle pubbliche istituzioni».
Luca Colella

Un Commento

  1. Mara Iapoce scrive:

    Caro direttore, ha detto tutto lei. Io aggiungo solo che si, Campobasso ormai ha anche di queste realtà e si sta dividendo sempre più in due: poca gente sempre più ricca, che detiene la ricchezza di più del 50% della città, e folte compagini sempre più povere o costrette ad emigrare (io ne sono un esempio). Ai mali urbani che tutti conosciamo e che spesso hanno le prime pagine dei giornali, si aggiunge questa piaga…

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