In 130 pagine di motivazione i giudici hanno reso conto della decisione di condannare, tra gli altri, Alessio Di Bernardo a 12 anni di reclusione per l’omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi.
Il militare sestolese, assistito dall’avvocata Antonella De Benedictis, è stato giudicato colpevole lo scorso novembre nell’ambito del processo “Cucchi bis”. Con lui condannato anche il collega Raffaele D’Alessandro. Assolto, invece, l’imputato Tedesco che si è poi trasformato nell’accusatore di Di Bernardo e D’Alessandro. I due sono stati anche interdetti in perpetuo dai pubblici uffici.
Ora le 130 pagine di motivazioni saranno studiate dalla legale De Benedictis ai fini di un più che probabile appello alla sentenza. La difesa aveva chiesto l’assoluzione o, in subordine, la derubricazione del reato in lesioni: «Di Bernardo non ha commesso alcun omicidio», dichiarò Antonella De Benedictis all’atto della lettura del dispositivo.
Per i giudici della corte d’Assise di Roma però il giovane fino alla sera dell’arresto era «in una condizione di sostanziale benessere» e quindi non sarebbe morto «se non avesse subito un evento traumatico» che si è svolto nella «sala adibita al fotosegnalamento nella caserma Casilina».
Nella sentenza, secondo quanto è trapelato, è scritto che l’azione lesiva ha generato «molteplici e gravi lesioni, con l’instaurarsi di accertate patologie che hanno portato al suo ricovero e da lì a quel progressivo aggravarsi delle sue condizioni che lo hanno condotto alla morte».
Stabilito anche il nesso causale per i giudici, considerato che a loro dire si è trattato di «una catena causale che parte da un’azione palesemente dolosa illecita che ha costituito la causa prima di un’evoluzione patologica alla fine letale». Questi fatti, per la sentenza rientrano nel quadro normativo «tra condotta illecita ed evento» e rendono chiari «la differenza tra la mera causalità biologica, secondo la quale nessuna delle singole lesioni subite da Cucchi sarebbe stata idonea a cagionare la morte, e la causalità giuridico penale, nel rispetto della quale il nesso di causalità sussiste se quelle lesioni, conseguenza di condotta delittuosa, siano state tali da innescare una serie di eventi terminati con la morte, così come si è verificato nel caso in esame».
Ai carabinieri condannati è stato contestato da un lato l’«uso distorto dei poteri di coercizione inerenti il loro servizio» e dall’altro la violazione del «dovere di tutelare l’incolumità fisica della persona sottoposta al loro controllo».
Chiaramente, le motivazioni andranno studiate a fondo, nel dettaglio. Dopodiché certamente la difesa di Alessio Di Bernardo proporrà appello per dimostrare l’estraneità del militare dall’accusa di omicidio preterintenzionale.

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