Mentre negli occhi di molti scorrono ancora le terribili immagini del trasferimento notturno, nella Rsa si lavora, in ed in silenzio si ottengono anche dei risultati: una anziana è stata infatti dichiarata guarita.
Proprio così. L’altra notte, dunque, è stato disposto lo spostamento di una paziente Covid-19 dalla Rsa al reparto Udi, Unità di degenza infermieristica. Si tratta di una 73enne proveniente dall’ospedale di Larino (ex ospite della casa alloggio di Cercemaggiore).
Una notizia – quella del tampone di conferma negativo – che ha rallegrato l’ambiente sottoposto in questi giorni ad un grandissimo stress.
Non solo morti – purtroppo tre – e problemi ma anche notizie positive, o per meglio dire buone. Il personale, dunque, sembra essere all’altezza del duro compito a cui è stato chiamato. Dopo le prime forti criticità organizzative dovute per lo più al trasferimento inatteso e urgente, la situazione si è normalizzata. Anche se, a dire il vero, in ospedale altri operatori non si sentono ancora al sicuro per via della “promiscuità”, ovvero chi transita nel reparto Covid non segue poi ovviamente percorsi specifici e dedicati. E non solo. Secondo alcuni operatori, si starebbe mettendo a rischio la tranquillità dei ricoverati Udi, nonché gli stessi sanitari in forza al reparto, sprovvisti di adeguati dispositivi di protezione. «Dove sono finite le rigorose procedure di prevenzione e controllo delle infezioni che sono fondamentali per il contenimento dei contagi? Gli operatori sanitari sono tenuti al rispetto rigoroso e sistematico delle precauzioni standard oltre a quelle previste per via aerea, da droplets e da contatto», fanno sapere. Non manca chi in generale rimarca come «il personale sanitario in contatto con un caso sospetto, probabile, confermato o a contatto con pazienti Covid-19 deve indossare Dpi adeguati». Occorre insomma tra l’altro «prestare particolare attenzione sulla necessità di assicurare la formazione del personale sanitario sulle corrette metodologie per indossare e rimuovere i Dpi».
Tutto ciò mentre dalla Procura di Isernia – come riferito ieri sulle pagine di Agnone di Primo Piano Molise – è partita l’inchiesta per epidemia colposa e lesioni colpose. Nel fascicolo aperto contro ignoti, il procuratore capo Carlo Fucci è intenzionato ad inserire tutti i fatti e le circostanze riguardanti la casa di riposo da cui è arrivata a Venafro la gran parte dei ricoverati positivi nella famigerata notte del 6 aprile. Notte che è stata ripercorsa anche dalla nota trasmissione televisiva di Raitre “Chi l’ha visto?”.
Sia come sia, già la grandissima solidarietà dei venafrani (e non solo) aveva quasi fatto dimenticare i “fattacci” legati al trasferimento ed ai pasti abbandonati sul davanzale della finestra, adesso con la “guarigione” di una paziente la situazione, si spera, possa andare ulteriormente migliorando, magari correggendo pure gli ulteriori ‘disguidi’ segnalati dai sanitari del Ss Rosario.
Ricordiamo che in forza alla Rsa in questi giorni ci sono anche due medici e tre infermieri militari provenienti dalla vicina Campania che si sono così aggiunti al personale presente.
Dopo l’intervento dei Nas dei Carabinieri e la visita dei vertici Asrem con il dg Oreste Florenzano e la ds Virginia Scafarto nonché del primario di Malattie infettive del “Cardarelli” di Campobasso Donato Santopuoli, la rotta nella Rsa è stata corretta ed addrizzata.
La speranza adesso è che anche gli altri 15 degenti positivi ancora ospitati possano al più presto lasciare il reparto Covid-19 del “Ss Rosario” magari per ricongiungersi, dopo questa brutta avvenuta, direttamente con i rispettivi familiari.

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