Filomena se ne è andata l’8 maggio del 2021 in un letto della terapia intensiva del Cardarelli. Il Covid non le ha lasciato scampo. Per Anna Maria Roberto, sua figlia, un anno di dolore e battaglie. Voleva la verità, voleva sapere – e vorrebbe ancora sapere – che fine hanno fatto gli effetti personali di sua madre, gli anelli e il contenuto del borsone con cui la vide andar via su un’ambulanza del 118. L’inchiesta avviata dalla Procura di Campobasso dopo la sua denuncia è stata archiviata. L’indagine interna dell’Asrem ha concluso che Filomena non aveva con sé anelli, portafoglio, il borsone. «Avrei mandato mia madre nuda a ricoverarsi in ospedale… Quindi avrei messo su un teatrino? E per quale motivo poi?».
Non nasconde la delusione, l’amarezza che a tratti sconfina nella rabbia. Non nasconde le lacrime, Anna Maria. Ma vuole raccontare come è andata a finire la storia raccontata da Primo Piano Molise il 20 maggio di un anno fa. «Lo devo a mia madre, che è stata una madre eccezionale».
Torniamo alla primavera 2021. Filomena, 73 anni, viene a Campobasso – da Castelmauro dove vive – per una visita cardiologica. Decide di trattenersi a casa della figlia nel capoluogo. In quei giorni, Anna Maria avverte i primi sintomi e il tampone conferma che si tratta di SarsCov2. Sottoposti a test tutti in famiglia, si scopre che anche Filomena si è contagiata. La terapia domiciliare con lei non ha l’effetto sperato. Peggiora. Nella notte fra il 24 e il 25 aprile, i familiari chiamano il 118. Anna Maria prepara il borsone con i pigiami migliori, una crema per il corpo, l’acqua. Dentro mette anche il portafogli, i documenti. Il cellulare e il caricabatterie, i soli oggetti ritrovati e riconsegnati dopo il decesso della 73enne. Durante il ricovero in malattie infettive, pur con il casco Cpap, Filomena riesce a sentire al telefono i familiari. Con chiamate o videomessaggi. A una delle nipoti viene consegnata la biancheria sporca e la ragazza lascia agli operatori una lettera per la nonna. Anna Maria conserva, tra le altre, una foto in cui sua madre la legge. Nell’ultima videochiamata le manda un bacio. «Non aveva già più i suoi anelli, le due fedi, una coroncina del rosario e un altro anello che lei portava sempre. Ma lì per lì non ci feci caso». Poi il trasferimento in rianimazione, l’8 maggio il cuore di Filomena smette di battere.
Nelle ore precedenti e immediatamente successive al funerale, i familiari cercano invano di recuperare al Cardarelli gli effetti personali della donna. Si rivolgono alla caposala, la raggiungono al centro vaccinale dove dà una mano. Lo scambio non è dei migliori, ricorda ancora oggi Anna Maria. Vengono invitati a rivolgersi alla polizia. Provano ancora ma ricevono risposte contrastanti: gli effetti personali dei degenti Covid sono in un deposito ma ora non possiamo andare a controllare. Oppure: c’era solo questo (cellulare e caricabatterie, ndr). Ancora: forse sono stati buttati, sarà passata la ditta a ritirare.
«Mi sono rivolta a un’associazione dei consumatori e ho formalizzato la denuncia con l’elenco di ciò che non ci era stato restituito e con le foto, i video. Passato del tempo, ho chiesto di parlare con il procuratore (di Campobasso, ndr) Mi ha ricevuto, è stato gentile. Ma mi ha detto che la Questura si stava occupando delle indagini. Sono andata anche in Questura e mi hanno assicurato che avrebbero svolto tutti gli accertamenti del caso. Quindi, trascorso altro tempo, ho ottenuto un appuntamento con il direttore dell’Asrem Florenzano. Anche lui è stato gentile, ma aveva una relazione del primario di malattie infettive che attestava che mia madre quando è stato ricoverata non aveva nulla con sé. Gli ho proposto di andare insieme a parlare con il primario e con la caposala. Ci era stato detto di parlare con lei, infatti, perché lei si occupa di queste cose. Ma Florenzano mi ha risposto che non era possibile, non c’erano gli elementi. Ha detto: io le posso chiedere semplicemente scusa».
L’ultimo atto, il 17 marzo scorso quando la commissione che si occupa dell’indagine interna dell’Asrem, ai fini di un eventuale risarcimento, conclude che non c’era nulla da recuperare. «Nessuno ha voluto prendersi la responsabilità, nessuno ha approfondito o collaborato con noi. Io in questo anno ho parlato con tutti quelli che potevo, sono andata più volte a sollecitare e per me è stata un’umiliazione, ogni volta una ferita che si riapriva».
Del padre, morto quando lei aveva pochi mesi, Anna Maria adesso non ha più niente. Sparita la fede che la madre portava sempre al dito insieme alla propria. «Quattro anelli, di cui due fedi di matrimonio, valgono più dell’oro che pesano. Una camicia da notte appartenuta alla propria madre ha un significato sconfinato difficile da spiegare razionalmente e un biglietto con scritto “ti aspettiamo a casa mamma” custodisce la testimonianza senza prezzo di un ultimo saluto a un genitore», dice Anna Maria. Cose tangibili «a cui aggrapparsi per ricostruire un pezzo di cammino che si è vissuto accanto ai propri cari. È questo che abbiamo chiesto all’ospedale. Non il letto di mia madre, ma le sue cose. Oggetti che hanno un immenso valore affettivo». Il più grande rammarico? «Mia madre non ha avuto alcuna giustizia».

ritai

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.