Serviva un’area di 80mila metri quadrati per un ospedale da 200 posti letto. A marzo, l’annuncio del governatore Donato Toma durante il Consiglio comunale monotematico sulla sanità: i soldi ci sono. Ma dall’amministrazione Castrataro, a parte qualche ipotesi riferita dalla stampa, non è arrivata nessuna proposta, nessuna individuazione della zona in cui realizzare la struttura. Così, Toma prende atto e rivela: il nuovo ospedale non sarà realizzato a Isernia: «Stiamo studiando, insieme alla struttura commissariale, all’Asrem e alla direzione regionale per la Salute, se c’è un modo migliore per sfruttare quei 110-120 milioni di euro, considerando che Isernia non ci ha mai risposto, vedremo di costruirlo in un altro posto».
Torna in auge l’ipotesi di una localizzazione baricentrica. Si era parlato di Monteroduni, l’idea era stata rilanciata anche in vista della presentazione dei progetti del Pnrr, che però finanzia elaborati in stato avanzato di progettazione poiché i fondi del piano di ripresa e resilienza vanno spesi entro il 2026.
I 110-120 milioni cui fa riferimento Toma sono la somma dei 46 milioni stanziati dal ministero della Salute per la ristrutturazione del Veneziale e il residuo non impegnato dei 105 assegnati al Molise ex articolo 20 (edilizia sanitaria), vale a dire circa 70 milioni. Per metterli insieme e destinarli alla costruzione di un ospedale nuovo, c’è bisogno di un accordo di programma con Roma, anche perché l’assegnazione dei 46 milioni è altrimenti prevista, con tranche annuali, a partire dal 2029.
Qualche giorno prima dell’Assise monotematica, il sindaco Castrataro aveva ricevuto la richiesta di Toma. Nessuna contrarietà, aveva risposto, chiedendo però chiarimenti su fondi e tempi e al contempo sollecitando soluzioni per i servizi ridotti al Veneziale. Le rassicurazioni e le spiegazioni del presidente-commissario al Consiglio non bastarono visto che Toma oggi dice: il primo cittadino di Isernia non mi ha mai risposto.
Nell’estate rovente della sanità regionale, sta ancora facendo discutere pure la demedicalizzazione di una delle postazioni del 118 di Campobasso, quella di via Montegrappa. La carenza di camici bianchi è cronica anche nel servizio di emergenza, spiega Toma, che venerdì ha chiuso l’accordo con i sindacati che riconosce ai medici del 118 dieci euro in più per ogni ora aggiuntiva. Un incentivo che ripaga i turni sempre più numerosi dei professionisti chiamati a coprire più sedi contemporaneamente. «Le postazioni India, però, non sono pericolose. Il medico non è sul mezzo, ma da remoto legge i parametri comunicati dagli infermieri specializzati che si recano insieme ai soccorritori sul luogo di intervento. È sempre il medico a fare la diagnosi. Con questo assetto non si rischia di più, si utilizzano anzi i medici su più postazioni».
r.i.

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