Lo spreco di cibo da un lato, la povertà dall’altro. Sono oltre 6mila i molisani, di cui 237 tra bambini e adolescenti, che si trovano in condizione di evidente difficoltà al punto da dover ricorrere agli aiuti che si materializzano sotto forma di pacchi alimentari, mense pubbliche o altre forme di assistenza. Ma nel bidone dell’immondizia finiscono, ogni anno, bevande e alimenti non consumati, quindi scaduti, per oltre 16 miliardi di euro a fronte dell’11% della popolazione italiana che non può permettersi un pasto adeguato – quindi che preveda carne, pesce o l’equivalente vegetariano – ogni due giorni.
Un paradosso visto che i 16 milioni di euro che finiscono, sotto forma di alimenti, nel secchio della spazzatura sarebbero più che sufficienti a coprire il deficit alimentare del paese. Un italiano su dieci, quindi, non ha più risorse adeguate per una corretta e sana alimentazione: una delle situazioni peggiori all’interno degli Stati dell’Ue.
In Europa la percentuale media scende all’8%, peggio dell’Italia solo Grecia, Lettonia, Ungheria (con il 12%), Romania (con il 16%) e Bulgaria (con il 31%) .
Dati allarmanti quelli diffusi ieri grazie allo studio promosso dalla Coldiretti, sulla base dell’analisi Eurostat elaborata in occasione della Giornata Mondiale dell’alimentazione promossa dalla Fao. Il numero delle persone bisognose di un sostegno scaturisce invece dai dati sugli aiuti alimentari distribuiti con i fondi Fead attraverso l’Agenzia per le erogazioni in Agricoltura (Agea).
«Non si tratta di un problema soltanto etico – spiegano dalla Coldiretti – ma che determina anche effetti sul piano economico ed ambientale per l’impatto negativo sul dispendio energetico e sullo smaltimento dei rifiuti. La crescente sensibilità sul tema ha tuttavia portato oltre sette italiani su dieci (il 71%), secondo l’indagine Coldiretti/Ixè, a diminuire o annullare gli sprechi alimentari adottando, nell’ultimo anno, strategie che vanno dal ritorno in cucina degli avanzi ad una maggiore attenzione alla data di scadenza, ma anche la richiesta della ‘doggy bag’ al ristorante e la spesa a chilometri zero dal campo alla tavola con prodotti più freschi che durano di più».

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