Il 22 marzo 1888, la tranquillità della diocesi di Bojano, ma soprattutto di Castelpetroso, piccolo centro di circa 3mila anime, fu sconvolta da un avvenimento prodigioso. Nella frazione di Cesa tra Santi, due contadine, Fabiana Cicchino, detta Bibiana, e Serafina Valentino, di 35 e 34 anni, erano alla ricerca di una pecorella dispersa mentre erano impegnate a zappare in un piccolo appezzamento, quando Bibiana fu attirata dalla luce proveniente da una grotta. Avvicinatasi, con grande stupore vide una visione celeste: la Madonna con le braccia allargate, il cuore trafitto da sette spade e con lo sguardo rivolto verso il cielo, inginocchiata davanti al corpo di Gesù morto coperto di ferite e sangue, senza profferire parola. Serafina, accorsa sul posto, invece, non vide nulla. Dieci giorni dopo, 1º aprile, giorno di Pasqua (anche quest’anno Pasqua cade il 1° aprile), l’apparizione avvenne nuovamente e questa volta la Madonna fu vista anche da lei.
La notizia si diffuse in tutta la regione e in quelle limitrofe, per cui cominciarono ad affluire nella località pellegrini sempre più numerosi da ogni luogo.
Il vescovo di Bojano, Francesco Macarone Palmieri, a seguito delle apparizioni aprì un’indagine. All’epoca la stampa locale, inizialmente, raccontò l’evento con un certo scetticismo e in maniera anche distorta, altri giornali, invece, preferirono ignorarlo.
«Presso il confine tra i boschi di Pettoranello e Castelpetroso stavano, giorni or sono, due contadine di quest’ultimo paese – scriveva il 13 maggio 1888 Il Grillo, settimanale isernino -. Una di esse aveva condotto seco delle pecore, che, pascolando, s’introdussero in un fondicello seminato. La contadina, pria che il proprio gregge arrecasse danno al piccolo podere, vi si avvicinava per menarnelo fuori, quando, rivolto lo sguardo alla collina, le parve di vedere, nell’interno di alcune screpolature, un certo splendore. Le si destò, naturalmente, la curiosità di osservar meglio di che si trattasse, e, fissato il punto, le sembrò scorgervi – nientemeno! – la Madonna col bambino fra le braccia. Sotto queste impressioni, di cui fu certa causa la fantasia esaltata, la contadina gridava esserle venuta dinanzi la Madonna col bambino, di aver visto ceri accesi ed affermava quant’altro le tornava possibile a confortare le sue assertive. Gli agricoltori ch’erano nei fondi circostanti prestarono fede alle parole della contadina, e, come suol sempre accadere in simili casi, ad ognuno che loro s’imbatteva, partecipavano la lieta novella della celeste apparizione sul monte. In questi paeselli, ove nella massa ignorante, credenzona e superstiziosa attecchisce bene una voce del genere, si giurò subito sulla verità dell’avvenimento e si corse alla spicciolata sul luogo. Rapidamente propagatasi la voce fino a lontani paesi, si sono di continuo succeduti e si succedono tuttavia dei pellegrinaggi addirittura. I più, francamente, dicono di non osservar niente nelle screpolature alle falde del colle e molto meno nei dintorni; qualcuno però – per lavoro di fantasia, o credendo mostrar così di aver avuto dal cielo la special prerogativa di vedere i corpi santi, a differenza degl’increduli, cui vien negata – dice vedere o l’Addolorata, od il bambino, od un lume, od un velo nero, e che tutto, alla seconda vista, subisce diverse trasformazioni. Un reduce dal pellegrinaggio accennava a stillicidio e massi di pietre luccicanti che per la proiezione dei raggi solari offrono alla vista dello spettatore un quadro confuso, abbagliante. Io pertanto, credendo si potesse almeno rilevare un fatto naturale qualunque, mi sono recato sul colle ed ho minutamente osservato. Ma meno un lieve spostamento di roccia che ha rimasto delle lesioni, cosa questa la più semplice del mondo, per quanto poi si voglia parlare di Madonne, bambini, bagliori, etc: ho avuto occasione di vieppiù convincermi che sien soltanto i parti di un po’ di attività fantastica. Credo che le persone colte andate sul luogo della voluta apparizione, come il Vescovo di Bojano e due ecclesiastici d’Isernia abbiano ottenuto eguale persuasione».
Sette giorni dopo lo stesso periodico scriveva che il pellegrinaggio in quel luogo, dove si vuole che sia apparsa la Madonna, sta prendendo una notevole piega, con racconti di aneddoti piccanti, per cui invitava l’Autorità giudiziaria ad indagare «per scorgere se si senta l’odore di codice penale».
Monsignor Macarone in un primo momento seguì a distanza gli eventi, dopo qualche mese di attesa, visto che l’apparizione aveva catturato anche l’attenzione della stampa nazionale, decise di recarsi sul luogo. La mattina del 26 settembre 1888, mercoledì, il vescovo si recò in contrada Cesa tra Santi, si avvicinò al luogo sacro e per tre volte vide la Madonna.
«Con il prelato c’erano il vicario, l’arciprete di Bojano, quello di Ripalimosani e molti altri ecclesiastici – raccontava il canonico Giuseppe Di Fabio nel libro I vescovi di Bojano e di Campobasso-Bojano -. Il vescovo si recò a Roma e presentò testimonianza scritta al pontefice Leone XIII. In una seconda relazione monsignor Palmieri dice che, recatosi a Cesa tra Santi la seconda volta, vide per ben tre volte la Vergine Addolorata con sette spade sul petto e un velo trasparente sul capo. Egli parla anche di una fonte scaturita nei pressi le cui acque miracolose avevano guarito una donna».
Molti furono i giornali che parlarono dell’apparizione, come La Tribuna, il Roma, La Capitale, Il Giornale di Sicilia e tanti altri, una particolare attenzione fu data dalla rivista bolognese Il Servo di Maria di cui era direttore il conte Carlo Acquaderni. Verso la fine del 1888 Acquaderni si recò a Cesa tra Santi insieme al figlio Augusto, 12enne, che era gravemente affetto da tubercolosi ossea, per chiedere la grazia della guarigione. Il ragazzo bevve l’acqua della sorgente, formatasi poco dopo la prima apparizione, e, per intercessione della Vergine Addolorata, guarì dalla malattia. Durante la permanenza in quel luogo sacro, come ebbero a raccontare, la Madonna apparve anche a loro due.
Agli inizi del 1889, dopo gli accertamenti medici che attestarono la miracolosa guarigione, Acquaderni e il figlio Augusto tornarono nuovamente a Castelpetroso presso la rupe sacra per ringraziare la Vergine Addolorata che si manifestò nuovamente ai loro occhi.
Intanto, Il Grillo che all’inizio non aveva creduto all’apparizione, giustificando quel bagliore di luce in cui in tanti avevano intravisto l’immagine della Madre di Cristo dolorante, come un effetto rifrangente dei raggi di sole e quindi di una suggestione collettiva, il 23 giugno 1889, pubblicava un articolo più asettico, limitandosi soltanto alla cronaca. «A me non è permesso entrare nella discussione se la miracolosa apparizione sia effettivamente avvenuta, ovvero sia parto di esaltata fantasia, o pure illusione ottica, prodotta dalla luce del Sole, che, nelle ore pomeridiane, specialmente, va a battere direttamente su quelle spaccature, penetrando in esse. Trattandosi di quistione religiosa ovvero di fede a niuno è lecito affermare o negare, dovendosi aspettare prima il responso della Santa Sede, (…). A me ora importa soltanto la semplice narrazione dei fatti, e la descrizione topografica della località…».
Va sottolineato che il vescovo visitò il luogo sacro di mattina e non quando il sole, durante le ore pomeridiane, avrebbe potuto causare quell’illusione ottica di cui parlava il giornale isernino, per cui non si può mettere in dubbio la sincerità di monsignor Macarone che lasciò un ottimo ricordo del suo apostolato, di uomo pio e caritatevole.
Acquaderni, ricevuta la grazia del figlio, manifestò l’idea di edificare una chiesa in quel luogo intitolata alla Vergine Addolorata, trovando sostegno e collaborazione nel vescovo. Iniziarono a mobilitarsi insieme per raccogliere fondi e incaricarono l’ingegner Francesco Gualandi di Bologna di progettare la maestosa opera. Era il 28 settembre 1890 quando ci fu la cerimonia della posa della prima pietra del Santuario di Maria Santissima di Castelpetroso, che diede ufficialmente il via ai lavori.
Il Grillo, che ignorava o fece finta di non essere a conoscenza del miracolo della guarigione del figlio di Acquaderni, il 12 ottobre successivo, così scriveva: «Non so come sia venuto a conoscenza di questi fatti il sig. Acquaderni Giovanni da Bologna, (…); ma certo si è recatosi alla Cesa tra Santi, esplorato il luogo e la posizione topografica, pensò di fondarvi un tempio veramente bellissimo, come appare dalla fotografia presentatami dai gentilissimi sigg. ingegneri Francesco e Giuseppe Gualandi, padre e figlio, che sono stati gli autori del progetto. Esso tempio è di forma ottagonale, avendo nell’interno sette cappelline rappresentanti i sette dolori dell’Addolorata: la facciata esterna, tanto per dare un’idea, sembra in qualche modo modellata sul Duomo di Como e di Milano. E siccome il santuario sorgerebbe ad una distanza di alquante centinaia di metri dal luogo dell’apparizione, il pellegrino sarebbe ivi portato per mezzo di una scala di marmo, fiancheggiata da oltre 15 cappelle per quanti sono i misteri del Rosario».
Il giornale poi raccontò la cerimonia di inizio lavori di quel 28 settembre 1890, cui parteciparono tantissimi fedeli provenienti da svariati luoghi. «Qua e là per le campagne erano sparse delle baracche, parte fatte in legno, parte ricoperte di tende, ed una di esse parata discretamente, servì di cappella per la funzione religiosa. A sinistra sorgeva un pulpito per gli oratori sacri, e più giù un’altra capanna dove era apparecchiato un buffet per gli invitati, ai quali pure era serbato uno spazio in mezzo ad uno steccato di forma rettangolare. Carlo Acquaderni, fratello del conte, ed Augusto suo figlio, facevano gli onori di casa accompagnati dal prof. D’Uva di Castelpetroso e da molte altre persone del luogo. Tutto procedé con ordine, rispetto alla moltitudine di gente che vi accorse, e faccio perciò le mie congratulazioni col comitato, come debbo farle al sig. E. Forte, autore delle seguenti iscrizioni che si leggevano ai lati della cappella. I. – Echeggeranno/Su queste balze/ Sin ad oggi abbandonate/ Assieme al canto dell’allodola/ gli inni/ Dei pellegrini del mondo/ che verranno/ A sciogliere il voto e la preghiera/ Alla Madre di Dio. XXVIII Settembre 1890.// II. – Plebiscito di fede/ Entusiasmo di popolo/ Dall’un capo all’altro d’Italia/ gittano/ Oggi la prima pietra/ di/ Un santuario/ che/ Per infuriare di venti e per trascorrere di secoli/ Rimarrà incrollabile/ a/ Testimoniare/ La grandezza di Dio./ XXVIII Settembre 1890. Alle 9 e mezzo circa giungono Monsignor Renzullo, Vescovo di Isernia, Monsignor Tempesta, Vescovo di Trivento, e poco dopo i Vescovi Macarone di Boiano e Di Nonno di Termoli. Finalmente una lunga fila di confraternita, accompagnate dalla Banda Municipale di Pretoro, da Castelpetroso reca l’immagine dell’Addolorata nella cappella costruita per l’occasione».
Dal pulpito il prof Vago di Frosolone pronunciò belle parole per la Madonna miracolosa. Subito dopo il vescovo Macarone benedì la posa della prima pietra, seguito dagli altri prelati.
Ad un certo punto della solenne cerimonia, accadde un fatto imprevisto. Nel fosso scavato era stato costruito un pozzetto, in cui fu deposto un astuccio contenente la pergamena con la data dell’impianto ed i nomi dei promotori. Il vescovo di Bojano «dopo c’ebbe sparsa della calce sulla pietra con la cucchiara d’argento da lui stesso acquistata per tale funzione – proseguiva Il Grillo -, invitò gli astanti a gittare ciascuno la propria pietra. E qui vi fu la nota comica. Molti interpretando quelle parole in vario senso, cominciarono a scagliare dei sassi in mezzo alla folla che poteva contare un 20mila e più persone. Vi fu quindi un panico indescrivibile, una confusione, un urtarsi ed uno spingersi senza tregua, tanto che gli stessi vescovi si sparpagliarono qua e là fra la moltitudine, per tema di andare incontro a gravi pericoli. Parecchi ricevettero dei colpi di pietra abbastanza forti, e fu necessaria l’opera dei Regi Carabinieri per far cessare quella specie di sassaiola e per ristabilire l’ordine».
I lavori del tempio procedettero a rilento a causa di problemi economici e delle due guerre mondiali, nel 1907 fu terminata e aperta al culto la cappella dei Polacchi, ma le mura perimetrali della chiesa furono completate solo nel 1950. Nei decenni successivi venne completato e consacrato il 21 settembre 1975 dal vescovo Alberto Carinci.
Il santuario, realizzato in stile gotico, presenta al centro una immensa cupola sormontata da una cuspide che raggiunge l’altezza di 55 metri, cui fanno da corona sette cappelle simboleggianti i sette dolori di Maria. In seguito al riconoscimento ufficiale delle apparizioni da parte della Chiesa, papa Paolo VI proclamò Maria Santissima Addolorata di Castelpetroso patrona del Molise il giorno 6 dicembre 1973.
Enzo Colozza

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