Il silenzio è durato poco meno di 24 ore. All’indomani della sentenza del gup Roberta D’Onofrio – a seguito del patteggiamento di quattro amministratori molisani, tra cui il presidente del Consiglio del Comune di Campobasso Michele Durante e l’assessore alle Attività produttive Salvatore Colagiovanni – in merito all’inchiesta sulle firme false alle Regionali del 2013, a Palazzo San Giorgio è iniziata la ‘resa dei conti’. La condanna a cinque mesi di reclusione convertiti in una multa da 42mila euro e pena sospesa dei due esponenti di maggioranza ha scatenato dure reazioni in municipio. Le critiche più aspre si sono levate dai banchi di Democrazia Popolare, i cui esponenti Francesco Pilone e Marialaura Cancellario, sono intervenuti chiedendo, in sostanza, un passo indietro da parte di Colagiovanni e Durante. «Fino ad oggi il Gruppo Consiliare di Democrazia Popolare – scrivono in una nota – ha osservato un rispettoso silenzio sulla questione in ossequio all’andamento delle indagini e nell’assolvimento di un comportamento che è stato sempre lontano da formule demagogiche e populiste sfocianti in costumi forcaioli che non ci appartengono. Seppur informati, sia dagli organi di informazione che dai diretti interessati, al quale va il ringraziamento per la correttezza dimostrata nel rapporto di chiarezza istituzionale evidenziata, nessuna formula di propaganda strumentale è stata usata dai sottoscritti per cavalcare politicamente una vicenda che stava avendo il suo corso nelle sedi giudiziarie preposte. Ad oggi, però, i fatti ci impongono di intervenire, di dire la nostra, nella piena consapevolezza che non tocca a noi dare nessun giudizio morale o comportamentale sulla questione, né tocca a noi commentare sentenze, ma è nostro dovere solo pretendere chiarezza e senso delle istituzioni. Ecco perché ci corre l’obbligo di evidenziare tre aspetti salienti, fondamentali per le decisioni da prendere. Innanzitutto non siamo di fronte ad un avviso di garanzia o ad un rinvio a giudizio, ma ad una sentenza di patteggiamento che per espresso dettato dell’art. 445 c.p.p comma 1-bis, “equiparata a una pronuncia di condanna” anche se tale equiparazione opera solo sotto i profili degli effetti e non anche con riferimento alla colpevolezza dell’imputato. In secondo luogo il patteggiamento (tecnicamente “applicazione della pena su richiesta delle parti”) è un procedimento speciale di tipo premiale, che consente di pervenire ad una sentenza, di regola già nella fase dell’udienza preliminare e caratterizzato per il raggiungimento di un accordo tra l’imputato e il pm circa l’entità della pena da irrogare. Esso comporta lo sconto di pena per l’imputato fino al limite di un terzo, ma anche una rinuncia di questo soggetto a far valere la propria innocenza a fronte della riduzione di pena e ad altri benefici. La scelta del patteggiamento, concretizzatasi in cinque mesi di reclusione, convertiti in 42mila euro di multa con l’applicazione dunque della sola sanzione pecuniaria, senza pene aggiuntive, ha di fatto “aggirato” la legge Severino che prevede la decadenza in caso di condanna. In virtù di quanto appena asserito, per essere chiari, il senso delle istituzioni pretenderebbe che i colleghi si dimettessero dai rispettivi ruoli istituzionali ricoperti, e se nel caso dell’assessore, esponente di Giunta, la scelta (ovviamente personale) implicherebbe, dal punto di vista politico e fuori dalla sfera individuale, la presa di responsabilità in carico al rapporto fiduciario con il sindaco soggetto deputato alla nomina assessorile (ma il sindaco, preso dai suoi doppi incarichi e chiuso nelle segrete stanze, ha ormai perso da tempo il contatto con la realtà ed il mondo esterno, al di là di qualche formale taglio di nastro, a tal punto che sulla vicenda, come su tutto il resto, mette la testa sotto la sabbia), cosa diversa è per il presidente del Consiglio. L’art. 15 dello Statuto comunale stabilisce, al comma 1, che il presidente sia il rappresentante legale del Consiglio comunale, così come al comma 6, viene definito che il presidente abbia il compito di rappresentare il Consiglio comunale nelle pubbliche manifestazioni. Il rapporto Consiglio-presidente è, pertanto, un rapporto di stretta rappresentanza, di sintesi, di giusta testimonianza proprio perché il presidente è eletto dall’organo consiliare. In conclusione, dunque, appare evidente che il presidente Durante, in virtù proprio dell’altissimo ruolo istituzionale che ricopre e delle osservazioni appena evidenziate, ma soprattutto perché persona intelligente, debba procedere ad un’attenta analisi seria e responsabile al fine di addivenire ad una giusta decisione senza che nessuno glielo chieda».
Più ‘morbidi’ invece i consiglieri del Movimento 5 Stelle che danno una lettura più ampia alla vicenda: «Era il 25 gennaio del 2013 e i giornali titolavano mettendo in evidenza che la composizione delle liste a sostegno dei candidati presidenti alle elezioni regionali era in alto mare. A poche ore dalla scadenza per la presentazione, prevista per le ore 12 del giorno 26, i giochi erano ancora tutti da definire ad eccezione che per il movimento 5 stelle che già da tempo aveva scelto i propri candidati. Non si tratta di apparire i primi della classe ma di comprendere che per la presentazione delle liste è prevista una procedura molto complessa, troppo a dire il vero, che presuppone la raccolta delle firme dei cittadini. Centinaia di sottoscrizioni obbligatorie che devono essere registrate seguendo le norme per l’autenticazione. Un lavoro immane per cui si impiega tanto tempo e che il movimento svolse con banchetti, anche sotto le intemperie, proprio per rispettare i termini di legge. Allora ci chiedemmo come avessero fatto le liste a sostegno degli altri candidati presidenti create all’ultimo minuto a raccogliere le firme necessarie. Un vero dilemma a cui nessuno ci seppe dare risposta. Oggi il problema ritorna più che mai attuale viste le recenti vicende giudiziarie che hanno visto coinvolti alcuni autenticatori per irregolarità proprio in quella fase. Da un lato va rilevato l’aspetto morale che imporrebbe una riflessione rispetto all’opportunità di rimanere in carica per chi, tra i “condannati”, riveste il ruolo di amministratore. Va evidenziata, inoltre, la discontinuità rispetto al passato in merito al giudizio della magistratura in casi del genere. Dal punto di vista politico, invece, è nota a tutti la vicenda che ha coinvolto il MoVimento 5 Stelle a Palermo sempre per quanto riguarda la raccolte delle firme per le candidature. Anche in quel caso ci furono degli errori che i responsabili, in termini giuridici, stanno affrontando nelle sedi giudiziarie ma che politicamente hanno già pagato con la sospensione dal movimento. Allo stesso tempo, però, non si può negare che tali procedure debbano essere riviste e semplificate. In modo particolare, a seguito del patteggiamento di Salvatore Colagiovanni, e di Michele Durante, Presidente del Consiglio comunale del capoluogo, riteniamo che debba essere lasciata alla loro coscienza l’eventuale decisione di lasciare l’incarico, fermi nella convinzione che chi rappresenta i cittadini debba essere d’esempio sempre, a maggior ragione per il rispetto della legge. Mentre ribadiamo esserci motivi e responsabilità politiche molto più rilevanti perché l’intera maggioranza ponga fine a questa amministrazione, così come abbiamo rilevato tempo fa in conferenza stampa a proposito dell’inefficienza del settore Lavori Pubblici, l’immobilismo in Urbanistica, senza risparmiare Commercio e Cultura. La vicenda giudiziaria per le firme false – concludono Gravina, Cretella, Praitano e Felice – dovrà fungere da monito per partiti e movimenti affinché le procedure elettorali vengano rispettate da tutti, diversamente da quanto è stato accertato più volte. Perché una cosa è sbagliare, un’altra è barare».

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