Al solo Serd di Campobasso sono in cura 1.300 tossicodipendenti. Un dato allarmante se si pensa che, ad esempio, chi vive nel capoluogo si fa aiutare altrove: va a Termoli perché si vergogna e non vuole che la sua condizione sia conosciuta nel posto in cui abita.
Un numero allarmante che è la spia di un malessere su cui intervenire prima che sia – e sperando che non lo sia già – troppo tardi. Diventa complicato perfino immaginare quanti altri siano in regione gli assuntori di sostanze stupefacenti, quelli che al servizio sanitario non accedono nemmeno. L’età critica è quella che va dai 14 ai 20 anni, l’adolescenza in particolare, quando un ragazzo su tre – secondo le stime degli inquirenti – cade o rischia di cadere nella rete della droga. Una volta nel tunnel, spesso si diventa spacciatori per continuare a procurarsi la ‘roba’. Un tunnel senza uscita per i tossicodipendenti, un calvario per le loro famiglie.
A partire dalle 9.30 stamattina nell’aula magna dell’Unimol l’incontro con 450 studenti delle superiori (trasmesso in diretta da Teleregione e Telemolise). Una task force istituzionale ha deciso di scendere in campo in maniera compatta perché insieme – magistratura, forze dell’ordine, ordini professionali, scuola e università – si può lavorare per un ‘Molise senza stupefacenti’. Dopo i saluti del rettore Gianmaria Palmieri, del procuratore di Campobasso Nicola D’Angelo, della direttrice dell’Usr Anna Paola Sabatini, gli interventi del sostituto Viviana Di Palma, della psicologa Giulia Leonelli e del direttore sanitario dell’Asrem Antonio Lucchetti. Il momento clou sarà l’intervista – a cura della presidente dell’Ordine dei giornalisti Pina Petta e del responsabile del Serd Giuseppe Antonio Scioli – a un ex tossicodipendente che racconterà la sua storia.
Il coordinatore dell’organizzazione dell’incontro di stamane, per l’Ordine degli avvocati che lo ha promosso mettendo insieme le altre istituzioni, è Mariano Prencipe.
Avvocato, come nasce questa iniziativa?
«Nasce dalla presa d’atto di un dato sconcertante, che è rappresentato dall’aumento notevole degli assuntori di droghe pesanti in Molise. L’Ordine ha preso atto di questa situazione e ha voluto coinvolgere le istituzioni e i soggetti che hanno a che fare con il problema droga e con i ragazzi: quindi, la scuola, il mondo dell’informazione, la Procura della Repubblica, il Serd, l’Ordine degli psicologi. Tutti coloro che in qualche modo, dal punto di vista istituzionale e professionale, possono avere a che fare con gli stupefacenti. Ognuno fa la sua parte, ma al di là dei compiti istituzionali o professionali che ognuno di noi ha, l’idea è di sollecitare in una piccola regione come la nostra la presa di coscienza del problema. Questo possiamo farlo solo se, prima di tutto, coinvolgiamo i ragazzi e le scuole e, in secondo luogo, la società».
Quindi, in Molise non c’è coscienza del problema?
«Beh, la cosa che lascia perplessi è che questa sorta di primato negativo, che è un dato reale, mal si concilia col tessuto sociale e con le dimensioni di questa regione. Questa non è una regione in cui si delinque. Significa che c’è una forte richiesta a cui gli spacciatori rispondono. Senza la domanda non c’è l’offerta».
Da avvocato ma ancora prima da genitore, lei si è chiesto perché tanti ragazzi consumano droga in Molise? Qui in fondo c’è ancora una rete di protezione sociale e familiare in caso di difficoltà economica, non ci sono ghetti come San Lorenzo a Roma per intenderci.
«In effetti, essendo un territorio che anche dal punto di vista morfologico è particolarmente favorevole per tenere sotto controllo i nostri ragazzi perché gli stiamo più vicini anche fisicamente, non ci si spiega come questo possa accadere. Credo incida un mix di fattori, non esclusa la carenza del lavoro, il fatto che molti di questi ragazzi una volta usciti dal circuito scolastico passano la maggior parte del tempo senza far nulla».
Ecco, voi volete parlare a loro nel convegno ‘Per un Molise senza sostanze stupefacenti’.
«Sì. Il nostro in realtà non è un convegno, non è una ‘vetrina’ in cui qualche esperto ci viene a spiegare il fenomeno. Il momento clou è rappresentato dall’intervista a un ragazzo tossicodipendente e speriamo che dopo questa intervista si apra un dibattito coi 450 alunni delle superiori. Vogliamo capire qual è la loro prospettiva. Nessuno propone delle ricette perché nessuno ne ha in questo campo, però siamo convinti che con l’impegno di tutti, anche del cittadino che non si gira dall’altra parte quando vede un ragazzo tossicodipendente o la cessione di sostanze stupefacenti, potremmo riuscire a diminuire questo fenomeno. Per questo parliamo di ‘Molise senza sostanze stupefacenti’: una chimera naturalmente, ma se anche riusciamo a tirar fuori dal tunnel pochi ragazzi, poco alla volta, sarà un obiettivo raggiunto».
Avete già in mente altre iniziative?
«Stiamo pensando ad altre iniziative. Da anni comunque siamo impegnati, sia noi come Ordine degli avvocati sia le forze dell’ordine, nelle scuole per parlare di legalità e droga. Questa iniziativa ha la finalità di coinvolgere altri soggetti. Per esempio, un ruolo fondamentale è quello degli organi di informazione. Deve passare il messaggio, che forse è stato abbandonato da qualche tempo, che le sostanze stupefacenti sono un male, non sono un bene, che non ti danno nessun tipo di visibilità e nessun riscatto sociale. Allora la sensibilizzazione è utile perché poi ognuno di noi nel suo piccolo sarà più attento a quel che accade ai nostri ragazzi. Se invece siamo convinti che questo problema non ci toccherà mai stiamo sbagliando».
ppm

Un Commento

  1. Annamaria Tersiani scrive:

    Quindi è inutile che si tenti di giustificare l’ingiustificabile, ossia le droghe leggere, gli spinelli, annessi e connessi. È sempre quello il passo per giungere alle droghe pesanti, è inutile che ci si nasconda dietro un dito. I medici e gli esperti ne sono convinti e possono addurre tutte le prove del caso, dunque i buonisti che si improvvisano esperti è meglio che tacciano, se non vogliono coprirsi di ridicolo. Rimango altresì convinta che, poiché a Campobasso mancano veri e propri centri di crescita morale, spirituale, culturale, sportiva dei giovani, accade tutto questo. Vanno ripensare le forme di aggregazione, e tutti devono essere chiamati in causa: dalle famiglie alle scuole alle parrocchie alle associazioni culturali e sportive. Con le sinergie e la giusta determinazione i risultati si ottengono. È vero che ci sono comunità di recupero dalle nostre parti che stanno facendo tanto per curare il fenomeno, ma è altrettanto vero che loro partono dall’effetto e non dalla causa. Le iniziative di cui parlavo prima, al contrario, mirano ad andare a monte, al fine di prevenire e non di curare.

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