Domenico Gramazio è un giornalista che scrive per Metropolis. Sul suo blog, http://domenicogramaziogiornalista.blogspot.it/, ha scritto di recente del Molise, di Campomarino e di un tratto di storia importante per la regione che però oggi in pochi ricordano. È la storia dei ‘ragazzi del ‘45’ che grazie al contributo di Gramazio Primo Piano propone ai suoi lettori.

Voglio parlarvi del Molise, una regione che insieme alla Puglia e alla Campania crea il mio ‘triangolo delle Bermuda’. In Molise ci trascorro le mie vacanze ormai da un decennio. Lo so, questa frase non farà piacere agli amici della pagina Facebook ‘Io non credo nell’esistenza del Molise’, che hanno creato un modo di fare satira unico nel proprio genere. Chissà se i vertici della Regione Molise sanno dell’esistenza di questa pagina e che proprio da qui basterebbe commissionare un progetto di marketing turistico anche alla più sgangherata società di comunicazione (a mio avviso sarebbe bello vedere cosa uscirebbe dalla testa dell’abruzzese Maccio Capatonda e dal molisano doc Luigi Luciano alias Herbert Ballerina), per spopolare e guadagnarci (per davvero) scherzando sul concetto del ‘Molisn’t’ (in inglese significa che il Molise non esiste). Chissà, per ora resta tutto su carta. Ma vuoi vedere che qualcosa si possa smuovere per davvero? Boh, certo è che la speranza è l’ultima a morire.

E io ho speranza anche per Campomarino, una delle tre località molisane che affaccia sul mare. Chi viene qui difficilmente va via, oppure meglio ancora ci lascia un pezzo di cuore. Per il paesaggio, la serenità e l’opportunità di fare vacanze di ogni tipo. Posto tranquillo per le famiglie, giusto per i giovanissimi e ottimo per i giovani che a pochi chilometri di auto possono raggiungere centri più movimentati come Termoli e Vasto (poi c’è sempre l’opzione Pescara che dista quasi un’ora di auto). Bella Campomarino, con un borgo caratteristico e un lembo di terra che affaccia direttamente sul mare. Un ‘Lido’ che d’estate raggiunge 100mila presenze (centomila!). In prevalenza pugliesi e beneventani, ma si trovano tutti i dialetti d’Italia nell’antica Kemarin. Bella, bella per davvero. Bandiera blu anche nel 2015.

L’isola che non c’è dirà qualcuno? Non proprio, visto che per fare bancomat un turista deve prendere l’auto e andare su in paese. Ebbene sì, esiste un luogo di mare senza uno sportello bancomat. O meglio, uno ne esiste ma permette di prelevare solo a chi possiede una determinata carta di credito. Può mai accadere una cosa del genere in una città a vocazione turistica? La risposta ve la do io: no. Andiamo avanti. Un bellissimo lungomare, che però sul più bello non è illuminato. Tutta colpa di autorizzazioni ballerine (così dicono i ben informati) che stanno bloccando i lavori da più di tre anni. Va bene, ma questo in un Paese come l’Italia può capitare. Ma avete mai visto una località marittima che avvia i lavori di valorizzazione della pineta, per crearci un passaggio pedonale, il 3 luglio 2015, in piena stagione estiva, per farli terminare a ottobre? A mia memoria una cosa del genere non l’ho mai vista e sentita. Ma a Campomarino questo esiste. E guai a lamentarti. Perché il forestiero (anche quello che paga l’Imu della seconda casa alta quanto Rimini, la capitale del turismo estivo italiano) non ha diritto a farlo. “Se non ti piace stare qui puoi andare via”. Tutti cafoni i turisti e i villeggianti. Non vogliono fare nemmeno la differenziata. Mica li si educa avviando una campagna di tolleranza zero come ha fatto Vincenzo De Luca a Salerno (lo sceriffo per eccellenza)? Ma quando mai, siamo in estate. Allora basta lamentarsi. E chi lo fa, magari viene anche offeso e cancellato dai profili Facebook gestiti dagli amministratori locali. Dove succede questo? A Campomarino, una terra baciata da Dio. Ma dimenticata dagli uomini evidentemente, tanto da non ricordarne la storia più recente.
La storia, un capitolo che merita ancora un altro po’ di attenzione. La storia ci ricorda le nostre origini. Eppure c’è chi la dimentica, nonostante sia alla guida delle istituzioni. A Campomarino, durante la Seconda guerra mondiale, è stata fatta la storia dell’aviazione militare e civile. In particolare in uno dei cinque campi volo presenti (Madna, Biferno, Nuova, Canne e Ramitelli). Ne sono venuto a conoscenza leggendo gli articoli che ha scritto o hanno visto protagonista Giuseppe Marini, semplice impiegato che nel 2001 iniziò una ricerca per ricostruire il legame che unisce Campomarino all’aviazione. Che bravo Marini. Per capire quello che ha fatto basta leggere due link del quotidiano on line Primonumero.it (http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=1918 e http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=5225). Nel 2005 organizzò anche le celebrazioni del Ve-day (la Giornata della Vittoria europea che si festeggia l’8 maggio) nella sua città, riportando in quelle zone i ‘ragazzi del ‘45’.
E, come spesso capita, mi sono imbattuto nella storia nella storia. “Ma c’è un altro motivo – anche questo storico – che fa di Campomarino un posto speciale. Da quelle piste infatti presero il volo i primi piloti di colore della Storia dell’Aviazione statunitense. Si rivelano talmente bravi nello scortare i cacciabombardieri da Berlino alla Francia (non ne fu abbattuto neppure uno) da meritarsi di entrare di diritto nell’Air Force. «Campomarino fu la città del riscatto militare e sociale dei piloti neri – spiega Marini – ai quali prima della Seconda Guerra Mondiale, per colpa del pregiudizio razziale, non era permesso far parte dell’Aeronautica americana. Tutto iniziò quando il presidente Roosvelt ordinò al dipartimento di Guerra statunitense di creare una unità di soli neri da destinare al conflitto in Europa. Quei piloti vennero destinati a Campomarino, e da qui eseguirono con successo oltre 200 missioni, dimostrando che la loro esclusione dall’Air Force era solo un pregiudizio». E Marini, qualche anno dopo, aggiunse: “Ramitelli fu l’unico campo di volo al mondo in cui operarono i primi piloti neri dell’aviazione statunitense. Uomini che stavano lottando due guerre una contro Hitler e l’altra contro il pregiudizio razziale della società americana di quegli anni. A fine conflitto il buon esito delle missioni da Ramitelli permise ai neri d’America, di entrare nell’Air Force Statunitense, fino a quel momento negato da pregiudizi razziali”.
Marini parla precisamente del Tuskegee Airmen, il reparto nato per addestrare i piloti di caccia degli Stati Uniti d’America riservato agli uomini di colore, attivo tra il 1941 e il 1946 e spesso soprannominato Red Tails, ‘code rosse’.
Su tutto questo, nel 2012, è stato girato un film prodotto da George Lucas (avete capito bene, il papà di Guerre Stellari) e girato da Anthony Hemingway. Lucas, come riporta Wikipedia, ha iniziato a sviluppare Red Tails intorno al 1988 dopo aver sentito del Tuskegee Airmen dal suo amico George Hall, un fotografo. Nel gennaio 2012, è arrivato in seconda posizione tra i 10 miglior film della settimana negli Stati Uniti d’America, incassando ben 18,1 milioni di dollari. L’incasso totale ammonta a circa 50 milioni di dollari. Un’americanata, girata da Croazia, Repubblica Ceca e – marginalmente – in Italia. E ovviamente Ramitelli viene citata più volte (almeno 4) con le vicende sentimentali tra i protagonisti del film che si svolgono in un paese che, dunque, dovrebbe essere Campomarino. Una cosa fantastica. Basti pensare che in Campania, seppur in ritardo, sull’operazione Avalanche sono nati due musei a distanza di 25 chilometri (Salerno ed Eboli). Perché non creare un mostra permanente anche in Molise? Ma la situazione è desolante. Infatti, oltre al lungomare dedicato agli aviatori, e a un cartello che ricorda l’ubicazione del campo volo Biferno non c’è più nulla. Il tesoro mondiale di Ramitelli? Una stradone pieno di erbacce. E guai a dirlo ad alta voce che forse la storia è stata messa da parte. E guai a far sapere che l’hanno dimenticata anche gli amministratori (un politico locale in una conversazione privata con il sottoscritto ha ammesso candidamente di non sapere dei Red Tails). Non è vergognoso tutto ciò? Nemmeno il 5% delle persone che vengono a villeggiare a Campomarino sa di questa storia. Ma quando la racconti brillano gli occhi a tutti. Avere un tesoro mondiale e non saperlo sfruttare. Ecco cosa ho visto quest’estate. E io da cittadino italiano mi vergogno di tutto ciò. Ché a 70 anni da quello che fu, con la storia totalmente accantonata in un cassetto e dopo il lavoro brillante del signor Marini, si poteva fare di più. Per questo la questione assume toni sempre più vergognosi. Basti pensare che, sempre come racconta Marini, nel 1983 il Ve-day fu festeggiato a Campomarino dall’allora ministro degli esteri, Giovanni Spadolini. Nel 2015, a 70 anni da una storia che è diventata anche un film e viene raccontata attraverso libri pubblicati in tutte le lingue del mondo (fra tutti spicca quello di John B. Holway che su Amazon si acquista per pochi euro), Campomarino non doveva dimenticare. Certo, meglio i concerti di Rocco Hunt e Bandabardò. Ma la storia ci aiuta a capire chi siamo. E forse c’è ancora tempo per recuperare. Il Molise esiste, ma viene dimenticato dalle istituzioni.
Domenico Gramazio

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