È vero, la presenza di qualche “collega” in più forse Fred Bongusto la meritava. C’era Edoardo Vianello, c’era il maestro Gianni Mazza. Gli attori molisani Stefano Sabelli e Daniela Terreri. Il musicista-jazzista Lino Patruno. Grande assente, si mormorava all’ingresso della Chiesa degli artisti di Piazza del Popolo, Peppino Di Capri.
Ma a rendere l’ultimo saluto al grande, il più grande, cantautore molisano, c’erano tutti coloro che gli hanno voluto bene. La sua orchestra, le sue vocalist, il suo ultimo agente, il suo addetto stampa. I familiari, arrivati da un po’ tutte le regioni. Gli amici di sempre, i fan.
Il meteo non è stato affatto clemente. A Roma ieri pioveva, molto.
I primi ad arrivare, i nipoti di Campobasso Massimo e Alessandra, figlioli di Margherita, amata sorella di Alfredo Buongusto. Commossi, addolorati. Ma orgogliosi e fieri di essere discendenti di un uomo che a Campobasso, al Molise, ha dato di più di quello che ha ricevuto.
Fred era legato al Molise e alla sua città natale: tutti, ma proprio tutti coloro che con lui hanno vissuto, lavorato o scambiato sentimenti di amicizia, hanno reso testimonianza al suo funerale di quanto fosse grande l’amore per i luoghi da dove tutto ha avuto inizio.
Campobasso, il Molise, anche nelle parole della nipote pronunciate dal pulpito della chiesa: «Sei partito all’età di 16 anni in cerca di fortuna, senza mai dimenticare la tua terra».
Non c’era Peppino Di Capri, ma c’erano il sindaco e l’assessore alla Cultura del Comune di Campobasso e il primo cittadino di Senigallia (luogo che avrebbe ispirato, ma le versioni sono diverse e contrastanti, la celeberrima “rotonda sul mare”). C’erano gli amici di Ischia, quelli di Napoli. C’erano gli ammiratori, arrivati da tutto il Paese. Chi aveva in mano un cd, chi un cartello, chi un fiore.
Davanti alla bara adagiata su un tappeto ai piedi dell’altare una foto di Bongusto retta da un piedistallo. Più in là una chitarra. Sobrio il rito funebre, officiato dal rettore della basilica che conosceva Fred. Sapeva di quanta sofferenza gli aveva provocato la malattia, «vissuta con grande dignità». Ha raccontato della sua profonda fede, della sua «umiltà, semplicità, bontà. Generosità. Eleganza. Un uomo particolarmente attento agli altri. Un uomo molto vicino alla gente. Un uomo che amava e viveva per la sua famiglia».
Dai familiari, dal manager, dagli amici, un aneddoto dietro l’altro, che aiutano a comprendere quanto grande fosse lo spessore dell’uomo, ancor prima che dell’artista.
Tutto è cominciato a Campobasso, nel cuore del centro storico, al civico 124 di via Marconi, oggi via Benevento.
Seduto davanti alla finestra della sua camera trascorreva intere giornate a provare con la chitarra arrangiamenti e testi. Lì, in quella casa è nata anni e anni fa “Doce doce”.
Il suo agente racconta, le vocalist confermano, che spesso parlava di Ludovico Socci, amico d’infanzia campobassano che per primo ne curò gli interessi artistici. «Tutte le volte che passavamo per il Molise, era d’obbligo una tappa a Venafro dove ci fermavamo sempre nello stesso posto per uno spuntino veloce. Lì Fred era di casa».
Amava la gente, Bongusto: durante le numerose tournée adattava la sua pronuncia all’inflessione dialettale dell’area geografica che lo ospitava. Un modo per sentirsi uno di loro.
Apriva la porta a tutti, ha raccontato la nipote, perché tutti sapevano dove abitava. Ed era capace di trascorrere ore con persone che nemmeno conosceva.
Nelle parole di questa giovane donna, nel volto distrutto dal dolore della sua mamma, unica figlia di Fred, la grandezza di un uomo che ha scalato da solo la vetta senza mai dimenticare le umili origini.
Un lungo applauso sulle note di Una rotonda sul mare ha accompagnato Alfredo nel suo ultimo viaggio terreno.
Lui non c’è più. La sua voce, quella, non morirà mai.
Il Molise, e in particolare la città di Campobasso, ha ora la possibilità di riportare in pareggio il conto.
Luca Colella

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