Quella di oggi è stata la sua ultima inaugurazione dell’anno giudiziario in Molise. Lascia la procura generale di Campobasso – primo incarico a capo dell’ufficio inquirente della Corte d’Appello dopo una lunga e brillante carriera da procuratore di Bolzano – per guidare quella di Brescia. Prima di Natale la decisione del Csm che riporta Guido Rispoli, 58 anni, vicino casa e per ricoprire un incarico assai prestigioso. Il distretto bresciano, sotto i riflettori dopo la piena di Mani pulite, ha per esempio la competenza disciplinare sui colleghi di Milano.
Nel capoluogo molisano, Rispoli ha portato un metodo rigoroso e innovativo alla conduzione degli uffici e quindi al coordinamento delle procure. I fenomeni criminali, anche quelli più ‘comuni’, il procuratore altoatesino li osserva dal punto di vista economico: senza convenienza nessun affare, meno che mai quello illecito, si conclude.
Andrà via in primavera e le dispiace, procuratore.
«Eh sì! Sono arrivato con mille perplessità che credo fossero condivise anche dalla popolazione molisana e dai colleghi. Ma poi ho capito subito che qui c’erano le condizioni per lavorare bene. È un territorio che per tanti aspetti ricorda l’alto Adige: popolazioni di montagna, schive, dedite al lavoro. C’è una profonda differenza nelle disponibilità finanziarie ed economiche, l’Alto Adige ha saputo valorizzare bene le sue potenzialità e quelle offerte dall’autonomia. Ma come modo di approcciarsi alla vita vedo grandi analogie».
Tracciamo un bilancio. Com’è il consuntivo?
«Dal mio punto di vista estremamente positivo. Sono due i temi su cui una procura generale si mette in gioco: la capacità di fare squadra e una grande attenzione al processo d’appello. Sul primo aspetto, il procuratore generale deve avere, secondo me, un buon rapporto coi procuratori territoriali e curare che sotto il profilo dell’organizzazione dell’azione giudiziaria abbiano una buona interlocuzione fra loro. E noi teniamo periodicamente riunioni con i tre procuratori e il procuratore dei minorenni, il clima è positivo. Recentemente abbiamo siglato il protocollo in materia di collaborazione nei processi di criminalità organizzata, con la possibilità che i sostituti delle procure ordinarie siano applicati alla distrettuale antimafia.
Altro grande compito, essere presenti e preparati nei processi. Coi colleghi Fioretti e La Rana mettiamo il massimo impegno per svolgere bene la nostra funzione. È un fatto importante perché se i giudici della Corte di Appello motivano bene una sentenza, il processo finisce lì. Il 70% dei ricorsi in Cassazione è dichiarato inammissibile».
Uno dei problemi più grandi che ha affrontato è la carenza di organico. E la giustizia si amministra con gli uomini. Com’è la situazione, rispetto a quella che ha trovato?
«Per quanto riguarda i magistrati, non posso che essere molto contento perché tutte le piante organiche sono coperte al 100%. Fra poco si insedierà anche il magistrato requirente. Siamo riusciti peraltro a far inserire questa sede come disagiata con i vantaggi economici che questo comporta.
A Larino però ci sono due sostituti e il procuratore: un numero assolutamente inadeguato, serve un terzo magistrato assolutamente. Credo che intanto faremo fronte con il magistrato requirente. In generale, però, un magistrato in più o personale amministrativo in più hanno certo un costo per lo Stato ma rappresentano un investimento che vale la pena. Oltre a migliorare il servizio giustizia – che incide anche sul Pil – avremo processi che non si prescrivono, pene pecuniarie che vengono incamerate, le confische…».
La procura di Campobasso, dati del Sole 24 Ore, è la più veloce d’Italia. Questo dimostra che l’investimento vale la pena.
«Bravo il procuratore D’Angelo e bravi i colleghi, sicuramente. Va aggiunto che l’ufficio può contare sul procuratore e sei sostituti. Sette magistrati, a fronte dei quattro di Isernia e dei tre di Larino. Questo è indice del grande apprezzamento del Ministero e del Csm, che hanno deciso di rafforzare la procura distrettuale antimafia. A fronte di questo c’è la grande difficoltà del Tribunale: nove giudici, che devono occuparsi di tutti i settori e non solo del penale. La Procura spinge sull’acceleratore, in Tribunale andrebbe aumentato l’organico».
Non meno importante, per i tempi della giustizia, è il ruolo del personale amministrativo. Lei ha provato a rimediare anche con il protocollo firmato con la Regione.
«A Isernia, Campobasso c’è una scopertura fra il 20 e il 30%. Le procure riescono a sopperire con la polizia giudiziaria adibita ad attività amministrativa, con una perdita comunque di efficacia dell’azione giudiziaria. A Larino si arriva al 40-45% di scopertura. Siamo in grande difficoltà. Come dicevo prima, bisogna convincere Roma che investire sulla giustizia rende i suoi frutti».
Anche nell’ultima relazione la Dia conferma: non ci sono clan mafiosi radicati in Molise ma l’infiltrazione è costante e sempre più riguarda l’economia, come lei ammonì dopo qualche mese di permanenza a Campobasso.
«È così. A me non risulta che gruppi criminali siano insediati. Che si infiltrino, facciano investimenti, subentrino con persone non a loro riconducibili è invece un fenomeno oggetto di attenzione. E questo è già un primo elemento di prevenzione. Bisogna essere tuttavia consapevoli che arrivare al risultato è difficilissimo. Lo spaccio di droga, le rapine hanno un momento di emersione della modalità del fatto. Ma pensiamo a un bar in difficoltà economica, il proprietario non si reca in banca sapendo che non avrà accesso al credito. Arriva, come diciamo da un po’, il mafioso che si presenta come benefattore e però fa transitare i soldi attraverso ‘persone pulite’ o società… L’attività investigativa è molto più complicata».
La droga: emergenza su cui la Procura di Campobasso lavora senza sosta. Alla dipendenza sono associati reati sempre più frequenti e gravi. Una ‘guerra’. Riusciremo a vincerla?
«Io penso sia una guerra che può essere vinta. Resto dell’avviso che se non ci fosse il contante e i pagamenti fossero tutti tracciabili, questo tipo di criminalità avrebbe grandissime difficoltà. Se vogliamo diventare un Paese civile, i pagamenti in contanti devono essere tendenzialmente cancellati. Se lo spacciatore non ci guadagna bene, non rischia la galera per vendere le dosi. Più difficile dire come si può ridurre la domanda: lavorando sui giovani e su cosa li porta ad assumere droghe, certamente. È un impegno più complesso e l’analisi sarebbe molto lunga. Sono convinto però che se colpiamo l’offerta il fenomeno dello spaccio precipita».
Infine, procuratore, la grande attenzione sul contrasto alla droga può dare l’impressione che gli inquirenti si stiano occupando in massima parte dello spaccio e non più di altro. Penso alla pubblica amministrazione, ai ‘colletti bianchi’.
«No, questo non è vero. Intanto, va detto che i fenomeni sono molto cambiati dalla corruzione scoperta da Mani pulite. Lì c’erano flussi consistenti di denaro contante che pagavano l’utile ricevuto e che alimentavano anche la politica. Oggi la corruzione si realizza con modalità differenti e difficilmente accertabili. Ci sono altri meccanismi di pagamento che magari si perfezionano a distanza di anni. Un profitto filtrato, che il soggetto che l’ha ottenuto non ha interesse a rivelare. Questo non vuol dire che non si agisca. Io stesso ho fatto processi in Corte d’Appello a Campobasso su fondi pubblici utilizzati per scopi diversi da quelli per cui erano stanziati o per auto riciclaggio. Ci sono state confische a imprenditori. Di sicuro, invece, non c’è stato un abbassamento della guardia». rita iacobucci

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