La prima postazione ‘salta’ col soccorso alla ‘paziente 1’ del Molise: operatori del 118 in quarantena perché arrivati sul posto senza indossare i dispositivi, di cui comunque erano dotati nell’ambulanza. Nella chiamata non era stato dichiarato il link con regioni in cui erano già presenti casi di covid, né probabilmente erano stati dichiarati sintomi riconducibili alla malattia che sta sconvolgendo il mondo e ha già piegato l’Italia. Risultato: 14 giorni di assenza dal servizio per i sanitari, postazione trasferita a Termoli. Qualche giorno dopo chiude quella di Termoli per via del contagio accertato su una dottoressa che effettua turni anche in Pronto soccorso al San Timoteo.
L’effetto domino colpisce ancora due settimane dopo. Il tempo di riattivare le postazioni messe in quarantena e scoppia il caso Riccia. Che sembra più un caso 118. Positivo al test un anziano del paese, il figlio lavora al Nord ed è tornato in Molise. Ma la ricostruzione epidemiologica cambia subito strada: sottoposto al test nelle stesse ore, risulta contagiato il padre di un medico che fa servizio al 118 nel centro del Fortore e che ha visitato l’81enne riccese una decina di giorni prima. L’Asrem dispone subito il test sul professionista: è positivo. Chiuso il 118 a Riccia, in bilico quello di Bojano, dove pure ha prestato servizio. Il destino del punto di emergenza matesino è legato ai risultati dello screening avviato, e non ancora concluso, su tutti gli operatori.
È stato il medico dell’emergenza a infettare il paziente? Solo l’indagine epidemiologica che sta portando avanti il dipartimento di Prevenzione potrà dirlo. Ma negli ambienti le voci circolano, si dice che la visita (e forse non solo quella) non sarebbe avvenuta con i dispositivi in uso. Altri dicono che il professionista da qualche giorno aveva tosse, forse la febbre, eppure era in servizio. Voci al momento, ma bastano a surriscaldare gli animi.
Ieri mattina, in due ambulanze davanti al Cardarelli, sono stati effettuati i tamponi a metà degli interessati. Autisti e soccorritori, volontari delle associazioni che gestiscono le postazioni, non nascondono l’amarezza per le disposizioni che pare siano state impartite: prima i medici e gli infermieri. «E noi? Siamo carne da macello», si sfoga qualche volontario che chiede di restare anonimo. Molti in isolamento per libera scelta, col timore di aver potuto già infettare qualcun altro prima che il bubbone scoppiasse.
Infine, il soccorso alla 84enne di Monteroduni che purtroppo è deceduta ieri al Cardarelli. Anche in quel caso, i soccorritori non sapevano che stavano andando su un sospetto covid. Che poi è transitato nel Pronto soccorso e nei laboratori del Veneziale per fare le analisi. Eppure, per il personale che è stato a contatto con la signora, non è stato deciso lo screening che invece è stato effettuato a tappeto al San Timoteo. Nonostante gli operatori abbiano chiesto di essere sottoposti a tampone. Asintomatici, certo, ma hanno avuto un contatto diretto con un caso accertato e sono operatori della sanità. Quindi, legittimamente preoccupati per se stessi e per le proprie famiglie.
Una sessantina i test da effettuare per il ‘cluster 118 di Riccia e Bojano’. E secondo alcune ricostruzioni circolate pare ne siano stati fatti la metà, sembrava per mancanza di tamponi. Altre fonti però invece assicurano: sono stai effettuati i test a chi era in lista ieri, quindi tutti i 60 previsti. Gli operatori di Riccia, prima loro perché zona rossa, e quelli di Bojano. D’altro canto, ieri mattina al tavolo permanente del Consiglio, che si è svolto in videoconferenza, il direttore dell’Asrem Florenzano ha detto che al momento sono nella disponibilità dell’azienda «900 tamponi, altri 900 dovrebbero arrivare martedì prossimo e altrettanti il successivo venerdì. Sono stati anche ordinati 3000 test rapidi. Attualmente il sistema è in grado di effettuare 120 verifiche di tamponi al giorno». Così nella nota istituzionale arrivata da Palazzo D’Aimmo.
Nel mirino, dopo i malumori dei primi giorni di gestione dell’emergenza covid, la gestione del 118 regionale. Le associazioni non nascondono più le critiche ai protocolli seguiti, o meglio alla mancanza di rigidi protocolli, alla poca formazione del personale, qualcuno propone: a questo punto gli equipaggi dovrebbero indossare i dispositivi sempre, su ogni soccorso. «Ma non veniamo ascoltati», lamentano.
Anche Anaao Assomed e Cosmed Molise pongono il problema della sicurezza dei medici chiedendo, in questo caso per chi è in servizio nelle strutture Asrem aperte a fini assistenziali, «la distribuzione e assegnazione formale dei dispositivi di protezione individuale di tipo Ffp2 in relazione all’assistenza dei pazienti e del tipo Ffp3 in corso di procedure invasive».
red.pol.

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