Rompe il silenzio il presidente di Assindustria Molise. Dopo i mesi dell’emergenza sanitaria piena, Vincenzo Longobardi traccia il quadro della situazione economica. E il giudizio degli industriali sull’approccio prima che sulle misure, del governo regionale, non è positivo.
Presidente Longobardi, cessato da un mese il lockdown e dopo una prima fase di riapertura delle attività, si ha come la sensazione che tutto possa tornare come prima in tempi rapidi. Gli industriali che ne pensano?
«Voci più autorevoli della mia sostengono che “niente sarà più come prima” perché il virus ha rivoluzionato le nostre vite: dal lavoro ai trasporti, alla scuola, alle relazioni sociali e così via. Questa prospettiva, condivisa da leader politici, scienziati, sociologi e imprenditori, trova d’accordo anche me, soprattutto fintanto che il virus sarà in circolazione. Ritengo, infatti, che la pandemia ci ponga di fronte ad una svolta epocale che ci costringe a modificare la visione del nostro futuro. L’Italia è stato il primo Paese occidentale ad essere colpito dal Covid-19 e ha pagato a caro prezzo, in primis in termini di vite umane, lo shock del lockdown. Oggi come imprenditore nutro una grande speranza nel vedere che l’Europa si è posta verso di noi finalmente in una prospettiva più acritica, libera da facili pregiudizi, approvando il Recovery Fund che prevede 750 miliardi di euro di fondi ai Paesi colpiti dalla pandemia, di cui 500 miliardi a fondo perduto e l’Italia sarà il primo Paese a beneficiarne (172,7 miliardi). Il percorso è comunque ancora lungo e tortuoso e queste risorse saranno disponibili non prima del 2021. Ma quando saranno disponibili bisognerà avere ben chiaro come scaricare a terra questa enorme potenza senza disperderla. Occorrerà presto scrivere un piano strategico per capire su quali asset impiegare queste risorse e il governo, attraverso il ministro all’Economia Gualtieri, si è reso disponibile al dialogo con le organizzazioni di categoria tra cui Confindustria. Un “modus operandi”, questo ossia il confronto tra governo e parti sociali, che è mancato totalmente al governo di questa regione nella fase di pandemia e purtroppo anche prima».
Ritiene che non si siano gettate le basi in questi mesi, anche tenuto conto delle difficoltà del momento, per avere in tempi rapidi una ripresa economica che in qualche modo riesca ad attenuare le fosche previsioni anche della Banca d’Italia?
«Mi aspettavo da parte di chi governa questa regione il riconoscimento del valore e del ruolo delle organizzazioni più rappresentative dell’impresa e dei lavoratori e la condivisione con queste fin dall’insediamento di questo esecutivo delle linee di sviluppo di questa regione. Non è stato così neanche nella fase della diffusione della pandemia, durante la quale non siamo stati ascoltati nemmeno per condividere i problemi delle nostre aziende. Questo modo di gestire da soli, da parte del governo regionale, senza alcun confronto con chi rappresenta interessi fondamentali in questa regione temo che avrà dei risvolti molto negativi sulla ripresa economica. La delegittimazione del nostro ruolo, ampiamente testimoniata dal volerci convocare solo a partecipare a riunioni assembleari insieme a una pluralità di sigle poco significative sul territorio, comunque non rappresentative degli interessi degli imprenditori e dei lavoratori, oltre che offenderci per quello che storicamente rappresentiamo ci preoccupa per la superficialità con la quale si intendono affrontare i temi dello sviluppo di questo territorio!
A prescindere da questa necessaria valutazione, dal mio punto di vista, che è quello di Confindustria, oggi è fondamentale la tenuta di questo governo nazionale perché occorre programmare subito e bene la spesa dei fondi europei di cui parlavo prima per rilanciare tutto il sistema economico italiano e anche per colmare il gap tra il Nord e il Sud del Paese. Altrimenti il Sud, che è stato sostanzialmente graziato dagli aspetti clinici del virus, rischia di pagare un prezzo ancora più alto di quello della pandemia. Nel piano nazionale per la ripresa dovranno essere assolutamente contemplati investimenti pubblici importanti nel nostro Mezzogiorno. Ce lo auguriamo e confidiamo molto anche sulla sensibilità dei componenti del governo di origine meridionale di cogliere questa grande occasione per invertire la rotta del Sud del Paese».
Confindustria Molise ha sempre sostenuto la necessità di rivedere le competenze delle Regioni. Sul tema però non si è registrato un grande interesse né a livello nazionale né soprattutto nella nostra regione. Non si è reso conto che forse sarebbe meglio evitare di continuare a trattare questo tema?
«In realtà, nei giorni di maggiore stress del nostro sistema sanitario nazionale, si è tornato a parlare di competenze regionali, dello Stato centrale, dei conflitti tra enti e del rapporto pubblico-privato. D’altronde rimane sotto gli occhi di tutti, essendo ancora oggi assolutamente presente la congestione e la disarticolazione dei vali livelli di competenza istituzionale che hanno contribuito a rendere sempre più confuso e contraddittorio il comportamento della Pubblica amministrazione. È questo l’ostacolo maggiore alla produttività dei sistema Paese che vincola la crescita. Questa realtà ci convince ancora di più sulla necessità che il tema della riduzione delle competenze regionali, non nuovo per Confindustria Molise, diventi un mantra da ribadire quasi ossessivamente. Così come deve diventare ossessivo il dibattito della crescita essendo i due temi strettamente collegati. È proprio per ribadire questi due obiettivi che nei prossimi giorni coinvolgeremo i rappresentanti dei lavoratori e delle organizzazioni imprenditoriali più rappresentative per stabilire insieme un percorso che imponga il rispetto del nostro ruolo e consegni alla valutazione dei cittadini molisani poche precise proposte per salvaguardare l’economia di questo territorio. Se ci ricordiamo, infatti, da dove siamo partiti, lo ribadisco anche in questa occasione, possiamo capire meglio dove siamo arrivati e perché oggi è fondamentale fare un “mea culpa” sulla mancata riforma del Titolo V della Costituzione e sulla delega alle Regioni della competenza sulla Sanità. Delega che, negli anni, ha devastato la sanità pubblica e reso incerto il diritto alla salute di tutti i cittadini sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Lo smantellamento in questi anni della sanità pubblica ha mostrato tutta la sua precarietà nel momento in cui abbiamo dovuto far fronte agli effetti di una pandemia devastante dalla quale ci siamo difesi con strutture depotenziate. Tra l’altro la regionalizzazione della sanità, lungi dall’attenuare il costo complessivo della spesa pubblic,a ha prodotto deficit di bilancio regionale pagati a caro prezzo dalle tasse di cittadini e imprese bloccando la produttività del Paese!».
Durante questi mesi si è avuta la sensazione di una tacita soddisfazione degli industriali molisani delle iniziative prese dal governo regionale. È una sensazione esatta?
«Ci saremmo aspettati, lo ripeto, di essere coinvolti dal governo regionale almeno per valutare le iniziative di sospensione delle attività delle imprese industriali e le strategie da affrontare nella fase della ripresa. Così non è stato! Da parte nostra abbiamo preferito non intervenire sulle questioni di merito e su quelle procedurali dando prevalenza alla necessità di far fronte all’emergenza in quanto tale. Certo non possiamo sottacere che anche qui in regione abbiamo assistito a una polverizzazione eccessiva delle poche risorse disponibili peraltro erogate con il metodo inaccettabile del “click” che sapeva più di un “gratta e vinci” che di una modalità tesa a gettare le basi per attenuare l’impatto dei settori e delle aziende più esposte alla crisi del mercato. Così come non abbiamo condiviso per nulla il voler puntare tutto sulle piccolissime e le piccole imprese. Lo abbiamo sentito dire dal nostro governo regionale in ogni circostanza. Così che tutte le sovvenzioni erogate dalla Regione in questo periodo sono state rivolte esclusivamente a queste nel presupposto dichiarato che rappresentano la vocazione del Molise. Ma quando poi rivendichiamo una crescita dell’occupazione in questa regione pensiamo che questa si possa ottenere attraverso lo sviluppo delle microimprese? Non mi pare che sia successo questo in Molise e in Italia più in generale negli ultimi cinquant’anni! Capiamo che l’esigenza dell’utilizzo dei fondi comunitari, le uniche risorse spendibili dal Molise, faccia andare in questa direzione ma trascurare completamente il sistema delle imprese medie e di quelle piccole che vogliono crescere è stato un gravissimo errore. Del quale pagheremo, purtroppo, le conseguenze in termini di ritardi e di incertezza nella ripresa economica di tutte le attività perché non dando il giusto rilievo alle medie imprese si penalizzano le filiere produttive che rappresentano il valore produttivo del nostro Paese».
Qual è la sua posizione e quella degli industriali sul ruolo svolto dall’Europa in questa pandemia, con riferimento in modo particolare all’emergenza Italia? Ritiene che la Ue possa accompagnare il Paese ad una fase importante di ripresa economica?
«All’inizio della pandemia, quando l’Italia sembrava essere l’untore d’Europa, sia gli Stati membri dell’Ue che la stessa presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen sembravano non comprendere la gravità della situazione e soprattutto non avevano capito che, trattandosi di una pandemia, presto altri Paesi dell’Unione sarebbero stati colpiti, com’è stato. Ci guardavano come chi non aveva saputo fare le riforme chieste dall’Europa e ne stava pagando le conseguenze. Poi, grazie al lavoro di Gentiloni, del presidente Sassoli, di Conte e soprattutto nelle ultime settimane alla capacità persuasiva di Angela Merkel, gli atteggiamenti sono cambiati e, essendo stati colpiti duramente anche altri Paesi, soprattutto Francia e Spagna, siamo arrivati alla firma del Recovery Fund. Capiamoci bene, l’Italia è la seconda manifattura europea ed è uno dei mercati più ricchi, le evoluzioni tariffarie degli Usa e l’instabilità asiatica non consentono all’Europa di permettersi alcun default. Ne va della sopravvivenza stessa dei Paesi membri. Quindi, molto saggiamente per la prima volta l’Unione europea mutualizza il debito pubblico dei singoli Stati e crea le condizioni per una ripresa economica senza condizionamenti di parametri. Questa è la nostra grande occasione, come Paese, per fare investimenti strutturali e operare riforme fondamentali come la sburocratizzazione del sistema. Dobbiamo sperare, dal mio punto di vista, di avere una classe politica nazionale all’altezza del compito difficilissimo e strategico che l’attende. Ma anche a livello regionale si dovrà mettere in campo una capacità progettuale che sia volta a privilegiare la crescita del territorio alla salvaguardia del consenso! Anche per favorire l’individuazione degli assi di sviluppo futuro sarà necessario far riferimento a quel patto tra sindacati e imprese al quale ho fatto riferimento prima!»
red.pol.

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