Peculato, abuso di autorità, corruzione. Reati consumati all’ombra del Cupolone, all’insaputa di Papa Francesco. Sette uomini sotto accusa, racconta Repubblica. E la caduta rovinosa del cardinale Becciu sarebbe solo l’ultimo tassello dell’indagine sui fondi della Santa Sede. Una svolta, quella impressa all’intera indagine da Papa Francesco, avvenuta dopo l’arresto di Gianluigi Torzi al quale il cardinale dimissionario – che ha dichiarato di non conoscerlo – si sarebbe rivolto pure sapendo che, assieme al padre Enrico, era nella black list delle banche europee. Il Vaticano decide di accelerare proprio a seguito dell’affaire spregiudicato che ha portato all’acquisto del palazzo al centro di Londra, con un investimento di circa 300 milioni, somma proveniente dai fondi dell’Obolo di San Pietro. Quel palazzo, nell’ormai famosa Sloane Avenue, è la parte più importante di un investimento complesso – si legge su Repubblica -, capitali che la Santa Sede aveva in conti svizzeri. Investimento svantaggioso tranne che per Mincione e per il broker molisano Torzi che hanno intascato decine di milioni come commissioni per la transazione. Quando il nucleo di Polizia tributaria della GdF di Roma ha dato una prima risposta alla rogatoria vaticana, con movimenti e transazioni messe nero su bianco, a Papa Francesco è apparso evidente che almeno 500 dei 650 milioni di euro, «derivanti in massima parte dalle donazioni ricevute dal Santo Padre per opere di carità e per il sostentamento della Curia Romana» sarebbero invece finiti in investimenti finanziari spregiudicati e in alcuni in paradisi fiscali. Quando il broker molisano Torzi, fermato dalla Gendarmeria Vaticana, collabora alle indagini e parla per tre giorni, ricostruendo i fatti che poi passano al vaglio dei riscontri, il Papa si convince che il tempo del cardinale Becciu è scaduto. «Torzi potrà continuare poi a offrire elementi importanti – si legge ancora nell’inchiesta di Repubblica – anche se resta da capire come il Vaticano abbia fatto ad affidarsi a un finanziere così chiacchierato. Un’informativa del nucleo speciale di Polizia valutaria ricostruisce bene la sua storia: “Gianluigi Torzi – scrivono – è presente assieme al padre Enrico Torzi nelle liste mondiali di bad press in relazione a svariate indagini avviate dalle procure di Roma e Larino per reati di false fatturazione”. Negli archivi delle banche era segnalato come “figura ad alto rischio” in materia di riciclaggio. E su alcune sue operazioni con una società maltese di cui risultava essere rappresentante legale, si era mossa persino la Direzione nazionale antimafia per chiedere informazioni».

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