La testimonianza di Roberta, 32 anni, psicoterapeuta e mamma di un bambino di sei mesi che un bel giorno scopre di aver contratto il Covid. Non sono bastate tutte le cautele del caso per scansare il nemico subdolo che oltre a contagiare lei infetta pure suo figlio e il compagno. La storia di Roberta è una storia di resilienza, come tante altre, combattuta tra le mura domestiche, quasi in solitudine, ma che ha lasciato una traccia indelebile nel suo percorso umano.
Come ti sei accorta di aver incrociato sulla tua strada il nemico invisibile?
In realtà ho fatto il tampone il 20 ottobre che era mercoledì ma già dalla domenica avevo iniziato ad avere dei dolori articolari ma banalmente ho pensato al materasso scomodo o di aver preso freddo al lavoro. Dopo un paio di giorni ho chiesto al medico di base di fare il test perché avvertivo che il malessere fisico non era quello della classica influenza e poi perché il mio lavoro mi porta ad avere un contatto quotidiano con i pazienti.
La tua prima reazione quando hai scoperto di essere positiva?
Il tampone l’ho fatto il mercoledì, il risultato l’ho avuto il giorno. Non ho dormito tutta la notte, ero naturalmente agitatissima. Intorno alle sei di pomeriggio ero seduta per le scale e controllavo sul telefonino, in maniera direi quasi ossessiva, i referti on line dell’Asrem quando ad un certo punto leggo: positiva al Sars2-Covid 19. Il mio compagno e mio figlio erano in un’altra stanza, io rimango paralizzata fisicamente e mentalmente. La prima reazione è stata quasi scomposta: ho iniziato ad urlare e a strapparmi i vestiti di dosso come a voler far uscire il virus dal mio corpo. Da lì una situazione di panico. Ma sapevo che dovevo proteggere il mio compagno e in particolare mio figlio che aveva solo cinque mesi. Quindi da subito abbiamo indossato le mascherine e in maniera veloce riorganizzato la quotidianità. Per due o tre giorni ho dormito in un’altra camera con la consapevolezza purtroppo che forse già era troppo tardi. E infatti così è stato. Da lì in poi però abbiamo cercato di proteggerci, non abbiamo più ascoltato i tg, ci siamo messi come in una bolla emotiva e ci siamo quasi dissociati dall’esterno.
Da tutto il mondo immagino ma non da parenti ed amici. Con loro come hai gestito la notizia del tuo contagio?
La mia preoccupazione era quella di aver contagiato mamma che avevo visto la sera prima. Per gli altri componenti della famiglia non avevo timori avendo evitato qualsiasi tipo di uscita. Conducevamo una vita ritirata e sempre molto attenta, tant’è che solo due persone si sono dovute mettere in isolamento fiduciario. Naturalmente la notizia ha generato tanto panico e tutti temevano per l’incolumità di mio figlio. Però dopo un primo momento di sgomento si sono dati da fare per cercare di farci sentire meno soli. Abbiamo ricevuto tante attenzioni e molte sorprese, sotto casa abbiamo trovato pacchi alimentari con ogni ben di Dio. Una vicinanza che ci ha fatto compagnia durante la quarantena e che ci ha spinto ad andare avanti per trovare nuovamente la speranza e la luce in fondo al tunnel.
Isolamento, paura e panico. Essere una psicologa-psicoterapeuta ti ha aiutata ad affrontare meglio queste sensazioni?
All’inizio ho tenuto duro e messo in atto una serie di strategie dando una nuova quotidianità alla quarantena. Ho cercato di tenermi sempre in movimento, di scandire il tempo con delle abitudini, dandomi degli orari precisi in modo che questo mi aiutasse a non sentire quella sensazione di soffocamento. Per i primi dieci giorni ce l’ho fatta. Poi ho mollato mentalmente. Ed è successo dopo tre settimane, quando abbiamo scoperto che il mio compagno era ancora positivo. Allora ho ceduto anch’io. Dopo aver messo in campo tutto le risorse per fronteggiare una situazione di allarme così forte a un certo punto queste risorse si sono esaurite.
Qual è stato il momento più cupo della malattia?
Il primo subito. Pochi giorni dopo aver scoperto di essere positiva per la paura e il forte spavento è andato via il latte. Questo per me voleva dire non poter nutrire mio figlio. Ho cercato di farmi forza, ho pregato, ho tenuto attaccato al mio seno il mio bambino e – dopo aver assunto anche litri di tisane – nell’arco di 24 ore il latte è tornato. Lì mi sono tranquillizzata parecchio. Il secondo momento più duro è quando abbiamo scoperto che il mio compagno era ancora positivo mentre io e mio figlio si eravamo negativizzati. Ci siamo dovuti di nuovo separare all’interno della stessa casa e ciò ha creato ancora una doppia solitudine. Non aveva più conforto sia nelle mansioni pratiche e sia a livello emotivo. Ti confesso che è stata dura gestire il piccolo da sola, una prova durissima anche perché ero ancora molto provata fisicamente.
Il 2020, un anno da dimenticare o da ricordare?
Da ricordare sicuramente perché sono diventata madre e la vita mi ha regalato la possibilità di sperimentare un nuovo ruolo. Ma non è stata una passeggiata. Anzi. Anche la gravidanza l’ho vissuta con la paura del contagio. Ho partorito all’inizio di maggio e quindi ho dovuto affrontare anche il parto da sola, lontana da tutti gli affetti. E se vogliamo dirla tutta non è stato semplice neanche il parto, ho fatto tantissime ore di travaglio. Non potersi appoggiare fisicamente ad un’altra persona, che sia un compagno, una mamma o una sorella, credimi non è stato facile. Poi è arrivato il Covid. Ma nonostante tutto direi che questo 2020 ha la luce degli occhi di mio figlio e le ombre della malattia che per fortuna per noi è già un brutto ricordo.
Nella vita nulla accade per caso, questa esperienza cosa ti ha lasciato?
Mi ha insegnato il valore delle piccole cose, di quanto siano importanti gli affetti delle persone a te care, di quanto diamo per scontato tutto ma poi arriva una batosta del genere che ti sconvolge i piani. Di certo il Covid mi ha insegnato ad essere resiliente, ne sono uscita provata ma sicuramente più forte.

a.l.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.