Dopo un lockdown di resilienza tra marzo e aprile con canti alle finestre e applausi agli eroi in corsia, a novembre è giunto il secondo, a colori, ma ci siamo scoperti più rabbiosi e rassegnati. Con l’arrivo del vaccino abbiamo riguadagnato un orizzonte temporale che però oggi rischia di essere offuscato dalle varianti. Il punto su quello che sta accadendo lo abbiamo fatto con un giovane campobassano che vive a Berlino, uno di quei cervelli in fuga dal Molise. Classe 1985, Andrea Palladino alla passione per la musica, nel 2006 si diploma in pianoforte al conservatorio Perosi, affianca quella per la ricerca. Si laurea in fisica all’Università̀ dell’Aquila e vince un dottorato presso il Gran Sasso Science Institute. Mentre era ancora un dottorando gli arriva un’offerta di lavoro da un centro di ricerca tedesco che accetta subito. «Le prospettive lavorative in Italia mi sembravano piuttosto nebulose» confessa. Ora lavora come “Data Scientist” nel settore dell’intelligenza artificiale.
Andrea, partiamo dalle ‘varianti’ del Covid che circolano anche in Italia dove però si preferisce chiudere ‘a zone’ piuttosto che valutare un nuovo lockdown rigoroso come quello disposto per tutta Italia nel marzo scorso.
«Ci sono decine di varianti in giro per il mondo, non c’è̀ soltanto la variante inglese.
Al momento non ci sono studi scientifici in grado di dimostrare un maggior tasso di letalità̀ delle varianti. C’è̀ da dire, però̀, che la variante inglese è più contagiosa, quindi purtroppo anche il numero di decessi può̀ crescere perché si contagiano più persone (non perché la variante inglese sia più letale)».
Nella battaglia iniziale alla crisi del Covid non hanno aiutato né nazionalismi degli stati europei né la politica divisiva dell’Italia, ma diciamolo pure neanche la comunità̀ scientifica ha fatto una bella figura. Prima discutevano sulla durata del virus, poi sui vaccini e la loro efficacia, oggi sulle varianti.
«A mio avviso la discussione scientifica si è spostata eccessivamente nei talk-show ed è̀ venuto a mancare il metodo scientifico. Tra chi diceva che l’Italia era a rischio zero, chi diceva che il virus si sarebbe spento con l’arrivo della stagione calda, chi parlava di farmaci miracolosi, si è̀ creata molta confusione. C’è̀ da dire che anche l’OMS non è stata chiara nelle sue direttive, contraddicendo spesso se stessa. La comunità̀ scientifica non ha fatto una gran bella figura e non è questo il modo in cui la scienza dovrebbe operare».
È stato stimato che la variante inglese in alcuni territori, come il nostro per esempio, abbia già superato il 50% dei contagi. Da ieri, per via dell’Rt più alto d’Italia, il Molise da giallo è retrocesso a zona arancione mentre in lockdown è praticamente tutta la fascia costiera con 33 comuni. A tuo parere serviva una chiusura totale e generalizzata per tutta la regione?
«Viene riposta una fiducia eccessiva nel parametro Rt e si parla solamente del suo valore medio. Per regioni piccole come il Molise però, a Rt è̀ associata una grande incertezza e il parametro finisce per perdere di significato. Ciò̀ che mi preoccupa maggiormente è l’incidenza. In Molise al momento siamo intorno ai 200 casi settimanali ogni 100.000 abitanti. In Germania la soglia che ha fatto scattare il lockdown era stata fissata a 50 casi settimanali ogni 100.000 abitanti. Anche il numero di decessi settimanali è alto. Nell’ultima settimana 8 decessi ogni 100.000 abitanti, mentre il dato nazionale è sceso sotto quota 4. A questi numeri preoccupanti si aggiunge anche la scarsità̀ di posti in terapia intensiva. Non dimentichiamoci che nel marzo 2020 il Molise è stato messo in lockdown con un numero di decessi settimanali 4-5 volte inferiore rispetto al dato attuale».
A proposito di vaccini ha fatto molto discutere in Italia la decisione di riservare l’AstraZeneca, data la sua minore efficacia, alla parte più giovane e sana della popolazione. Sei d’accordo?
«Difficile rispondere a questa domanda, bisognerebbe chiedere agli esperti nel settore.
Quel che è certo è che in Israele (il 1° Paese al mondo per numero di vaccinazioni in rapporto alla popolazione) il vaccino della Pfizer sta dando i suoi frutti. Sia i casi giornalieri che i decessi sono in forte calo e su 700.000 vaccinati con doppia dose solo 300 hanno contratto il Covid19 e solo 16 hanno avuto bisogno di cure ospedaliere. In Israele, però, quasi il 50% della popolazione ha già ricevuto almeno una dose e il 30% ha già ricevuto la seconda. Proseguendo con questo ritmo, per fine marzo/inizio aprile dovrebbe arrivare alla fatidica soglia del 70% di vaccinati. A quel punto si capirà se l’immunità̀ di gregge è raggiungibile e soprattutto se è duratura.
In Italia, invece, solo il 3.28% della popolazione ha ricevuto almeno una dose. A questo ritmo è del tutto impensabile il raggiungimento dell’immunità̀ di gregge per il prossimo autunno. In Italia dopo una buona partenza si sta procedendo a rilento con i vaccini, con 3.3 milioni di dosi somministrate in quasi 2 mesi. Considerando che per i vaccini di Pfizer, Moderna e AstraZeneca è necessaria una doppia dose, per vaccinare il 70% degli italiani bisogna somministrare 84 milioni di dosi. Col ritmo attuale servirebbero 4 anni, per cui è chiaro che questa strategia non può̀ funzionare e bisogna accelerare alla svelta».
In Germania cosa sta succedendo in questo momento?
«In Germania la seconda ondata è stata molto più violenta della prima. Ormai da novembre sono chiuse gran parte delle attività̀. I ristoranti possono fare solo asporto, i negozi non di prima necessità sono chiusi, si lavora da casa.
I numeri, però, sono più bassi dell’Italia. Al momento l’incidenza settimanale è vicina a quota 50 casi ogni 100.000 abitanti e si comincia a parlare di riaperture per gli inizi di marzo».
In Molise invece a un anno dall’inizio della pandemia si è costretti a mandare fuori regione i malati Covid perché non ci sono posti in rianimazione e qui pochi che abbiamo (appena 12) sono tutti occupati. E nemmeno il contatore di morti si ferma, siamo già a quota 346.
«In termini di casi e decessi il Molise è stato praticamente risparmiato dalla prima ondata. Guardando i numeri, possiamo dire che l’epidemia in Molise è iniziata a novembre 2020, quando c’è stata un’impennata della mortalità̀. Probabilmente il fatto di essere stati risparmiati dalla prima ondata ha dato una falsa sensazione di sicurezza, facendosi trovare impreparati nel momento in cui l’epidemia è arrivata davvero».
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