«Il nostro Paese non ha più bisogno si simboli, né di eroi, ma di normalità, di persone, tante, come noi, che nel quotidiano fanno il proprio dovere e rispettano la legalità». È stato questo, in estrema sintesi, l’insegnamento di Giuseppe Antoci, ex presidente del parco dei Nebrodi in Sicilia e ideatore del protocollo che ha posto fine ad un meccanismo perverso che ha permesso per anni alla criminalità organizzata di fare affari d’oro con i fondi europei destinati all’agricoltura. L’uomo politico, sopravvissuto ad un attentato mafioso nel 2016 e sotto protezione con la scorta armata, è stato ospite del convegno sulla legalità organizzato a Castelguidone dalla Caritas diocesana di Trivento e dalla scuola di formazione all’impegno sociale e politico “Paolo Borsellino” dirette da don Alberto Conti. A moderare l’incontro il giornalista Tarcisio Tarquini. Un paese blindato dalle stringenti misure di sicurezza disposte e poste in essere dalla Questura di Chieti in ragione del protocollo di protezione applicato all’illustre ospite. A garantire l’ordine e la sicurezza, sul posto, il commissario della Digos, Marco Melena, e i suoi uomini in divisa e in borghese. Prima dell’arrivo in paese di Antoci l’area della piazza, la chiesa e le strade circostanti sono state controllate e bonificate dagli artificieri della Polizia giunti da Pescara e dalle unità cinofile inviate espressamente da Roma. In ausilio anche alcune pattuglie di Carabinieri della compagnia di Atessa con la presenza sul posto del capitano comandante Alfonso Venturi.
«Quando ho assunto la presidenza del parco dei Nebrodi non avevo idea di quale fiume di denaro finisse nelle tasche e sui conti correnti di persone legate a potenti famiglie mafiose – ha esordito Antoci -. Non credevo che Cosa Nostra avesse messo gli occhi e le mani sui fondi europei destinati al settore agricoltura. Ho scoperto, subito, un sistema basato su intimidazioni e ritorsioni che ha permesso alla criminalità organizzata di ottenere milioni, miliardi di euro dall’Europa. Mi sono accorto – ha aggiunto – che rispondevano ai bandi agricoli europei soltanto alcune società composte da personaggi collegati a cosche e famiglie mafiose, come fratelli di Riina e i reggenti di Cosa Nostra. Gli altri imprenditori, intimoriti, non rispondevano affatto. Truffe per milioni di euro basate sulle autocertificazioni antimafia. Autocertificazioni prodotte da mafiosi conclamati, gente condannata per il 416 bis e qualcuno anche al 41 bis. Con la Prefettura abbiamo deciso di spezzare questo meccanismo, azzerando il tetto per l’autocertificazione. Per la partecipazione a qualsiasi bando sarebbe stato necessario, obbligatorio, il certificato antimafia. Immediatamente, prima ancora della firma di questo protocollo, sono stato posto sotto sicurezza. “A quel cornuto di Antoci gli dobbiamo sparare un colpo nel cervello”. È il testo di una intercettazione della Direzione distrettuale antimafia. Ci hanno provato, nel 2016. Hanno bloccato la mia auto con dei massi sulla carreggiata e aperto il fuoco, a fucilate – ha raccontato con la voce rotta dall’emozione l’ex presidente Antoci -. La blindatura ha retto e sono vivo grazie all’eroismo degli uomini della mia scorta che hanno risposto al fuoco e messo in fuga il commando. Dopo l’attentato hanno provato a mettermi fuori gioco con la macchina del fango, ma senza riuscirci. Quel protocollo è ora divenuto legge dello Stato ed è un modello anche per altre nazioni d’Europa, raccomandato dalla stessa Commissione europea. Le interdittive antimafia hanno bloccato quel fiume di denaro pubblico che finiva sui conti correnti dei mafiosi. La legge prevede la revoca dei contratti, il sequestro dei beni, gli arresti e via elencando. Capite bene che abbiamo rotto un sistema consolidato che fruttava alla criminalità milioni, miliardi di euro. Il mio sogno è diventato legge, una legge antimafia. Avrei potuto fare finta di niente, – ha confessato in chiusura Giuseppe Antoci – ma non avrei potuto più guardare negli occhi mia moglie né le mie tre figlie. Ho avuto paura, ho ancora paura, ma ne è valsa la pena, ho fatto la cosa giusta, perché “noi” persone perbene siamo molti più di “loro”, dei mafiosi. Di questo abbiamo bisogno, di persone che facciano il loro dovere ovunque, in ogni luogo e circostanza, a prescindere dalle conseguenze. È questa la normalità, fidatevi, non è eroismo, è solo normalità».

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