Se qualcuno – sparando nel mucchio e accusando i consiglieri regionali dell’area isernina di immobilismo e colpevole silenzio sulle vicende preoccupanti che ormai attanagliano il Veneziale – pensava di colpirlo, si sbagliava di grosso.
Michele Iorio non resta a guardare, anzi. Rilancia. E mette sotto accusa il commissario ad acta, dipinto come un ‘dipendente del Ministero’, un burocrate che ha accantonato la politica e non decide. Ma Toma è in buona compagnia, anche il dg Asrem è fra gli imputati di questo tracollo che ha investito l’ospedale isernino. Carenza di medici al Pronto soccorso, nel reparto di Pediatria, e poi il mancato bando per la docenza di Scienze infermieristiche, la chiusura della Medicina nucleare.
A cuocere c’è, ovviamente, tantissimo. E sullo sfondo la possibile chiusura dell’ospedale e l’idea, che circola con insistenza negli ambienti politici regionali, di un ospedale unico.
«Condivido le critiche che vengono rivolte all’Asrem e al commissario ad acta perché quella messa in campo non è la risposta che serve alla sanità molisana – spiega senza fraintendimenti il già presidente -. A Isernia si è verificata una vera distruzione di quella pubblica e, d’altronde, i sintomi non sono di questi giorni, sono datati. Bisognava provvedere, c’era e c’è il modo. Come? Abbiamo a disposizione la facoltà di Medicina, che poteva venire in soccorso, con sistemi di convenzionamento anche con altre università, per la carenza estrema di personale per la Pediatria ma non solo. Ma vedo che c’è una risposta burocratica sterile, perché non utilizza forme di intervento che la politica potrebbe dare. Purtroppo abbiamo un commissario che si sente un dipendente del Ministero, quindi tra burocrazia e controburocrazia, la politica non decide mai in questa regione (pausa). Da quando c’è Toma» aggiunge Michele Iorio.
L’appello al commissario, affinché il dg dell’Asrem sia rimosso, può bastare?
«Quello che vediamo oggi è l’esito di una disfunzione gestionale che ovviamente dipende da chi sta più su: il manager potrà avere qualche colpa, probabilmente, ma esegue gli ordini del commissario. Esegue il piano operativo, le linee di indirizzo. Il commissario Toma, diversamente da Giustini che ha subìto notevoli critiche, non ha messo in campo una attività degna di nota per sopperire alle carenze della sanità. Non solo a Isernia ma in tutta la regione. Bisogna fare in modo che si ravveda e cominci ad adottare qualche atto».
La Casa della comunità hub di Isernia, il cui studio di fattibilità è stato approvato qualche giorno fa, può essere un supporto utile per sopperire alle carenze del Veneziale? La medicina territoriale può essere la soluzione?
«Si tratta di cose sfasate rispetto ai problemi che ci sono: 50 milioni dedicati a queste nuove case, chiamate in vario modo, a mio modo di vedere sono uno spreco di danaro mentre non si riesce ad affrontare il problema del personale, ad ogni livello. Chi fa che cosa? È bello scrivere i poemi su quello che si farà in sanità, e questa è una critica che mi permetto di muovere anche al Governo nazionale, ma si rischiano soldi buttati al vento, senza nessun effetto mentre abbiamo un ospedale, che dovrebbe essere una garanzia verso ogni tipo di necessità di salute, che non funziona più. L’allarme è notevole, io penso sia sbagliato pure quel piano da 50 milioni».
Lei ha lanciato un appello all’unità per il bene del Molise. Qualcosa si può fare, unendo le forze e convergendo sul discorso sanità, per il territorio, al di là delle differenze politiche?
«Sicuramente sì: io sono disponibile e ho lanciato un appello alla partecipazione anche per la soluzione di questo tipo di problema. Sono alla ricerca di chi vuole impegnarsi per sollecitare l’opinione pubblica e aiutare la politica a trovare le soluzioni idonee. Oggi ascoltiamo solo proclami, e tra l’altro pure accettati più o meno dalla politica isernina, sul nuovo ospedale. Una idea da respingere. Quell’idea che mettemmo in campo, un ospedale unico a metà strada fra Isernia e Venafro, era nata perché bisogna prepararsi a chiudere il Santissimo Rosario. Avanzai la proposta di ospedale a metà strada per coprire il territorio in maniera equilibrata. Ma quello era un altro progetto: questo presentato da Toma è fuori posto, fuori luogo e affatto funzionale ai problemi. L’ospedale di Isernia, ovviamente adeguato lì dove c’è da intervenire, è assolutamente in grado di funzionare. Lanciare l’idea, che è solo una idea, dell’ospedale nuovo come la soluzione di tutti i mali è sbagliato. Da parte di chi lo propone e di chi lo accetta. L’amministrazione comunale di Isernia, per essere chiaro».
Quale la prima cosa da fare, allora, per cambiare passo rispetto alle criticità del Veneziale?
«Quello che sembra una ovvietà: cercare personale. Con i concorsi ma non solo. Quelli che stanno bandendo non solo sono in ritardo ma hanno anche un appeal ridotto. Chi viene qui, verifica il funzionamento della nostra sanità ed è incentivato ad andare altrove. Ci sono altri sistemi, e mi ripeto: la facoltà di Medicina, voluta strenuamente, è un aggancio straordinario per trovare personale idoneo, con contratti anche atipici che possano integrare funzionalmente i dipendenti di ruolo. La prima cosa da fare è risolvere il problema del personale. Occorrono formule diverse e anche incentivanti quanto è necessario. Si spendono tanti soldi per forme di incentivo in tanti settori, perché non nella sanità?»
In alcune aziende sanitarie dell’Emilia, per le stesse gravi criticità che mettono in crisi il Veneziale, si ricorrerà ai medici a gettone.
«Mi pare sia una formula utilizzata anche qui ma non molto incentivata. Io credo che, di fronte all’assenza ipotetica di un servizio vitale per i cittadini, la ricerca di ogni altra soluzione sia valida tranne che quella di chiudere il servizio. Invece, in Molise, avviene esattamente il contrario: appena si presenta una difficoltà di copertura di organico, si chiude un servizio sanitario. Un atteggiamento da respingere con forza. Se non si ha questa capacità, quella di cercare le soluzioni, è inutile ricoprire i posti di responsabilità che si ricoprono».
Quanto è concreto, secondo lei, l’allarme sulla prossima chiusura del Veneziale?
«Non siamo molto lontani da questa possibilità e in regione c’è qualcuno che comincia a ventilarla questa ipotesi. Un ragionamento che attualmente è affrontato in maniera molto criptica. Il ministero della Sanità guarda a questa ipotesi, a quella dell’ospedale unico del Molise: una soluzione che mi ha visto, e mi vedrà, sempre contrario. Il pericolo esiste, dobbiamo essere chiari con i cittadini e, soprattutto, essere capaci di non arrivare alla soluzione finale che si raggiunge di solito eliminando un tassello poco per volta. Così poi, alla fine, quando in ospedale ci sarà rimasto poco, si dirà: ma a cosa serve, non ha più nulla, meglio chiudere. E poi, magari, si realizza una casa della salute, la chiamiamo ospedale e il gioco è fatto».
La casa di comunità, hub di Isernia, avrà tutto, h 24. Non sarà mica questo un primo passo verso un cambio di offerta nei servizi sanitari?
«Non è escluso che la casa di comunità non sia un primo passo per la chiusura dell’ospedale. Piano piano, però, si arriverà a questo ed è meglio che la politica isernina sia molto attenta, abbandoni la contrapposizione ideologica e pensi agli interessi dei cittadini. E cioè tutelare e conservare un ospedale vitale, per la nostra città e per l’intera provincia. Dobbiamo batterci fino in fondo, abbandonando ogni tipo di bandiera».
ls

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