La coltellata mortale ha trafitto il ventricolo destro. Romina è morta così, in un range temporale compreso tra le 20 e le 24 della notte tra il 2 e il 3 maggio scorsi.
E la sua è stata una lenta agonia.
Depositata l’11 luglio, l’autopsia eseguita sul corpo della giovane uccisa dall’ex fidanzato Pietro Ialongo racconta gli ultimi istanti di quella ragazza bionda, dai lineamenti delicati, che avrebbe dovuto far ritorno a Cerro al Volturno, fra le braccia del papà, di lì a qualche ora.
Aggiunge un altro tassello al terribile femminicidio di cui è stata vittima. Un altro punto fermo.
E racconta i minuti terribili dell’aggressione e quelli successivi che hanno portato al decesso della 36enne stabilendo anche un particolare che non è un dettaglio, che segna il confine tra la vita e la morte, tra quello che è stato e quello che, invece, avrebbe potuto – o forse dovuto – essere.
Si è trattato di una «morte agonica», nel linguaggio della medicina legale. Si esclude, quindi, la morte istantanea.
Non è deceduta sul colpo, Romina. Ha sofferto.
Chissà se Pietro, invece di scappare, avesse chiamato i soccorsi, chissà se quel sentimento di pietà che non c’è stato purtroppo, avrebbe potuto fare la differenza.
L’ha lasciata agonizzante a terra, in un lago di sangue. E Romina ha sentito scendere il freddo, ha capito che la vita la stava abbandonando, che stava per morire.
Un punto fermo, che rende – ove mai sia possibile – ancora più tragica la fine di una donna che aveva scelto come e con chi vivere la propria esistenza.
Lontana da Pietro Ialongo, l’ex fidanzato storico 38enne con il quale ancora condivideva l’appartamento di via del Plebiscito a Frosinone sebbene ormai non fossero più una coppia. Quella casa dove è stata trovata 24 ore dopo l’aggressione. Ormai senza vita.
Tra le 20 e le 24 della notte tra il 2 e il 3 maggio, Pietro avrebbe atteso il rientro a casa di Romina che, solo qualche ora prima, alle 15.45, aveva avvisato il papà che sarebbe tornata a Cerro al Volturno il giorno successivo, che avrebbe lasciato quella casa, per sempre.
Del resto, il suo nuovo compagno – la guardia giurata che non sentendola a telefono per troppe ore aveva lanciato l’allarme, consentendo il suo ritrovamento – nelle ore immediatamente successive al fatto ha raccontato agli inquirenti – che lo hanno ascoltato come persona informata sui fatti – che Romina si sarebbe dovuta trasferire da lui di lì a qualche giorno.
Pietro Ialongo non le ha dato il tempo di farlo, non le ha dato il tempo di tornare a Cerro al Volturno ad abbracciare il suo papà, non le ha dato il tempo di innamorarsi di nuovo, di vivere la vita che avrebbe voluto.
Non accettava quella separazione, Pietro. In cuor suo forse sperava che continuando a vederla – nella stessa casa dove un tempo erano stati felici – avrebbe potuto farle cambiare idea, avrebbe potuto farla tornare su quei passi che giorno dopo giorno l’allontanavano da lui.
Un litigio, confermato anche dai vicini di casa – gli studenti cinesi per i quali si è tenuto l’incidente probatorio prima del loro rientro in patria – che hanno raccontato di aver sentito il vociare trasformarsi in grida, in richiesta d’aiuto. Hanno raccontato il silenzio che segue il dramma, i rumori delle porte chiuse con violenza, i passi veloci sulle scale di Pietro che fuggiva dal luogo del delitto.
Ialongo, secondo quanto egli stesso ha raccontato nella sua confessione avvenuta subito dopo il fermo alla presenza dei pm di Frosinone e Latina e di un avvocato d’ufficio, al culmine di una lite probabilmente originata dalla certezza che Romina avrebbe lasciato per sempre quella casa di lì a qualche ora, avrebbe dapprima provato a strangolarla. Sempre secondo la ricostruzione dei fatti che il 38enne ha fornito agli inquirenti, il timore di una denuncia – visto che Romina era viva nonostante le avesse stretto le mani intorno al collo – lo avrebbe poi armato.
E così, con quel coltello che la donna che diceva di amare gli aveva regalato in virtù della passione per le lame che l’uomo coltiva, l’avrebbe colpita per 14 volte.
Quattordici fendenti al torace, all’addome, al cuore. Ferite piccole e oblique, compatibili con quel tipo di lama, che i medici legali hanno riscontrato anche sulle braccia e sui gomiti. Come se Romina avesse provato a difendersi, a proteggersi mentre guardava negli occhi il suo Pietro che voleva ucciderla.
E mentre Romina moriva, per quella coltellata fatale al cuore, Pietro Ialongo a bordo della sua Audi sfrecciava sulla strada che porta al Circeo: lì, una volta abbandonata l’auto, avrebbe tentato di togliersi la vita. Poi, a piedi, fino a Torre Paola, sulla spiaggia di Sabaudia, dove i Carabinieri di Latina, allertati dai passanti, lo hanno fermato.
Era senza indumenti, in stato confusionale. Nessuno, in quegli attimi concitati, poteva immaginare che quell’uomo, in preda ad una crisi di nervi, aveva ucciso qualche ora prima la donna che diceva di amare.
Fra i fogli disordinati che Ialongo aveva con sé, il biglietto con il quale di fatto si assumeva la responsabilità dell’omicidio. «Non volevo ucciderla, io la amo». Una sorta di confessione-testamento, probabilmente, visto che Ialongo avrebbe voluto farla finita.
Il prossimo 23 settembre, alla presenza degli avvocati Danilo Leva – che assiste il papà e il fratello di Romina De Cesare – e Vincenzo Mercolino – che difende Pietro Ialongo, detenuto nel carcere di Frosinone con le accuse di omicidio volontario aggravato dalla coabitazione e di stalking – saranno rese note le risultanze delle perizie sul traffico telefonico delle due utenze intestate a Romina e Pietro e sugli esami di estrapolazione del Dna (affidate ai Ris) dai tessuti repertati sulla vittima e da alcuni oggetti rinvenuti nell’appartamento, con molta probabilità anche dal coltello usato per uccidere. I carabinieri del Reparto investigazioni speciali, poi, ricostruiranno la scena del crimine. Torneranno in via del Plebiscito, a Frosinone. Lì dove, adesso, il volto di Romina, con le sembianze di una martire, è diventato un murale.
lucia sammartino

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