Amato padre Giancarlo, le scrivo da figlio adottivo di Cercemaggiore. Terra di lavoro, di gente che trascorre tante ore ogni giorno alle prese con i campi, con gli animali, con la sabbia e il cemento, con le arti e le professioni. Gente abituata al sacrificio, alla sofferenza. Provata oltremodo dalla pandemia.
Gente dalla pelle ruvida ma dal cuore immenso.
Per certi versi a Cercemaggiore il tempo si è fermato: le porte delle case sono sempre aperte, come erano aperte all’epoca dei nostri avi; gli abitanti del paese sono amorevolmente ospitali e generosi.
Chi – come me – è forestiero, ha l’immensa fortuna di sentirsi accolto e amato sin dal suo arrivo.
Padre Giancarlo, ascolti la supplica di questa gente: trovi una soluzione per far sì che don Peppino possa continuare, come solo lui sa fare, a portare conforto e sollievo alle sue anime.
Mancherei di rispetto a lei, amato padre, e ai miei compaesani se non fossi sincero: da pastore della diocesi lei ha un debito con la nostra comunità. Ricordo con patema d’animo ma nitidamente i giorni di don Felix Cini. Il paese, in quella circostanza, si trasformò in un inferno di dantesca memoria. Si generò un clima di odio ed esasperazione che provocò lacerazioni e ferite.
Ne uscimmo tutti sconfitti. Tutti!
Con il tempo e con l’aiuto del Signore, ognuno ha potuto riflettere su quella brutta pagina di storia. Don Felix – il cui passato qualche dubbio, purtroppo, lo suscita – a Cercemaggiore, diciamocelo con franchezza, forse non doveva essere destinato.
Se oggi la comunità è riuscita a rimettersi in piedi, a ritrovare la necessaria armonia, se le ferite sono guarite, il merito più di ogni altro è di don Peppino Di Iorio.
Don Peppino, uomo di grande cultura e dall’intelligenza sopraffina, scontroso nell’aspetto ma dall’animo limpido e luminoso, non ha solo saputo creare le condizioni migliori affinché la chiesa locale tornasse punto di riferimento per la comunità religiosa. Don Peppino ha riportato l’entusiasmo tra i giovani, ha riacceso la fiamma dell’amore per nostro Signore Gesù, è stato un valido supporto, un’utile guida per chi aveva smarrito la via.
Fondamentale il suo sostegno per chi ha dovuto affrontare il dilaniante dolore della malattia.
Intransigente con i genitori troppo permissivi; severo con i giovani affascinati dai falsi miti, dalle sostanze, dalle trasgressioni.
Amato padre, oggi che la comunità vede le luce in fondo al tunnel della pandemia, non fermi la speranza.
Non aggiunga dolore al dolore.
Sia comprensivo con il popolo di Cercemaggiore, venga incontro alle richieste del sindaco.
Mi creda padre, le sto parlando con il cuore in mano: il vuoto che lascerebbe don Peppino sarebbe incolmabile. È come, mi consenta il paragone, se venisse meno un giovane capofamiglia, padre di tanti bimbi. Con la partenza di don Peppino ognuno di noi perderebbe un fratello, un amico. Un’ancora, una colonna, un solido appiglio a cui aggrapparsi, soprattutto nei momenti difficili, quando gli ostacoli sembrano insormontabili.
La saluto con fede e devozione e confido nella sua infinita bontà d’animo.
Luca Colella

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