Tanti sono i morti che ogni giorno piangiamo, per la loro perdita, sui luoghi di lavoro! Ogni giorno li contiamo. Tanti, troppi! Anche in Regione Molise, purtroppo!
Tutti ricordiamo in particolare un incidente molto triste, capitato a Pietracatella, in una chiesa in restauro. Era la Chiesa della Madonna di Costantinopoli, nel cuore del paese, luogo veneratissimo dalla confraternita del Borgo.
Era il luglio 2015. Una mossa fatale, una parte che non tiene, un soffitto che cede. Ecco, due operai, che cadono nel vuoto. Uno schianto! Giuseppe muore. Antonio resta paralizzato. La comunità geme e soffre! Anzi, due comunità, quella di Pietracatella che custodisce il santuario. E quella di Riccia, da dove provengono i due operai. Un dramma che si accresce, perché non solo perdiamo due bravi papà di famiglia, ma questo lutto avviene proprio dentro una chiesa, una chiesa dedicata a Maria, la Madonna! Mille domande ulteriori. Ecco, che man mano che il lutto si stempera, con la forza della comunità il coraggio delle due famiglie, inizia a sorgere un’idea provvidenziale: valorizzare questa Chiesa, che ha vissuto un evento così triste, per farne un santuario dedicato appunto alle tante vittime sul lavoro. La cosa matura, la comunità, interpellata, accoglie e segue l’intuizione dei sacerdoti. Don Stefano ne diventa il protagonista, per la diffusione.
Il Vescovo, subito, accoglie e sente dentro il cuore l’eco di tanti luoghi di lavoro da lui frequentati, in giovinezza, nelle grandi fabbriche del Nord, dove ha lavorato come operaioper alcuni anni, imparando la dura legge del lavoro, con il suo sudore e il suo rischio. Ne nasce una preghiera, che viene letta spesso in chiesa. E la chiesa viene elevata a “Santuario diocesano, in ricordo delle vittime sul lavoro. Questa la denominazione, perché sia ben individuato l’obiettivo da raggiungere: una preghiera intensa e fedele che asciughi le lacrime di chi è caduto e crei un cuore vigilante, per chi ogni giorno è costretto a lavorare in ambienti difficili e pericolosi. Ne nasce una riflessione etica che si fa impegno. Sempre la vita al di sopra del guadagno. La cura della vita sui luoghi di lavoro sia una scelta che si fa scuola. Richiede attenzione, calma, pazienza, premura da parte di tutti. La società guardi a chi lavora con sommo rispetto. Nessuno sia sfruttato. Il contratto dia tempi adeguati al riposo. Il mondo sindacale ne faccia uno dei principali obiettivi. Il mondo imprenditoriale circondi di grande cura la fatica dell’operaio. Il messaggio culturale è chiarissimo: solo insieme, in una logica “sinodale”, concorda con leggi precise e con un cuore solidale sarà possibile diminuire le morti sul lavoro. Niente è più triste, infatti, che morire per portare un pezzo di pane a casa, per i figli! Dedicare una chiesa e farne il santuario diocesano per le vittime sul lavoro diventa così uno stimolo alla attenzione etica, che viene prima dell’economia. È la grande sfida dell’enciclica “Laudato Si”, dove papa Francesco ci chiede di mettere la cura del creato, in chiave etica, prima della sua utilizzazione economica. Solo così si rispetta e si custodisce la terra. E anche la vita nella realtà complessa del lavoro. Martedì 30 maggio, da parte del Vescovo, per l’occasione è stata scoperta una targa, collocata proprio nel luogo in cui è caduto l’operaio Giuseppe, perdendo la vita, tra le lacrime della moglie e la commozione generale. Ora non è più un semplice luogo di culto, pur bello e storico. È un santuario, di preghiera di lacrime asciugate e di riflessione sociale ed etica, dove la dignità del lavoro e della vita ha la precedenza su tutto. Come ci insegna anche Maria, che a Nazaret ha insegnato, con Giuseppe, anche a Gesù, la bellezza e la dignità del lavoro, lui che era “il figli del falegname” , anzi, “ il carpentiere” (Marco 6,3). Nazaret si fa allora una scuola di vita e di dignità, dove Maria ha un ruolo di premura, nel ricordo del momento in cui lei, con cuore di madre, per prima si accorge che a quei due sposi, in lacrime, mancava il vino, cioè mancava la speranza e il coraggio del domani. Si rinnovi allora il miracolo di Cana, perché diventi un “cuore che vede” e una mano che asciuga le lacrime, e scorra di nuovo, nelle nostre terre, il vino buono della fraternità.
+p. GianCarlo, Vescovo

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