La cautela mostrata dai rappresentanti del gruppo Amadori venerdì, quando ai sindacati hanno precisato la natura interlocutoria dell’incontro con gli operai dell’incubatoio era, a conti fatti, fondata.
Convocati per telefono a metà della passata settimana, gli addetti dell’impianto chiuso dal 1 gennaio, su quella telefonata avevano riposto molte speranze. Una novità, qualcosa si muove. Tutt’altra sensazione all’uscita dal colloquio, poco più di una chiacchierata con due giovani impiegate dell’ufficio Personale, nell’impianto di Bojano. Traspariva, al contrario, molta delusione. Agli operai è stato chiesto di portare il proprio curriculum. E, una volta lì ieri mattina, la disponibilità a rientrare al lavoro quando l’impianto riaprirà. Non molto di più.
Il gruppo di Cesena non crea illusioni. Dal suo arrivo in Molise, in effetti, ancora di più da quando si è aggiudicato i beni della filiera le sue poche dichiarazioni (e il confronto a tratti aspro che si è svolto al ministero dello Sviluppo prima della firma dell’intesa) sono sempre state improntate alla massima cautela. Non ha mai nascosto, attraverso i suoi legali, che nella situazione giuridica e di fatto degli edifici e degli impianti acquistati rileva delle criticità. Ha proposto contratti prevalentemente a tempo determinato (così è organizzato il settore) e previsto tempi che non sono affatto rapidi per la ripartenza. Tempi che si sono già allungati.
Il fattore tempo, la burocrazia, il rischio di mercato sono ragionamenti venuti fuori sia venerdì nel confronto coi sindacati sia ieri con i lavoratori. Entrati all’incubatoio pieni di speranza, molti di loro ne sono usciti con tanti interrogativi.
Per l’incubatoio, in particolare, se va tutto come deve andare è ipotizzabile che per settembre ci sia l’aggiudicazione del bando del Psr e allora dovrebbero partire i lavori di ristrutturazione. Si arriva così alla possibile riapertura a metà 2018, ma deve andare tutto bene. In realtà, qualcuno teme che possa passare anche il prossimo anno. Forse la cautela utilizzata è stata troppa.
Mariano Russo, oltre che un ex dipendente dell’incubatoio, è da anni rsu della Cgil. Dopo il colloquio con le rappresentanti di Amadori lancia l’allarme proprio sulla tempistica con cui l’azienda di Cesena porterà avanti l’investimento. «La mia preoccupazione, da sindacalista e operaio, è che se i tempi sono quelli che ci hanno detto anche chi lavorava all’incubatoio, i primi cioè a poter tornare al lavoro secondo il progetto di Amadori resteranno nel mentre senza copertura di ammortizzatori sociali». Quindi, la sua richiesta, è che gli impegni vengano mantenuti e con una certa celerità. Dalla Regione per le misure di ricollocazione di sua competenza, ma pure dal gruppo Amadori per quel che ha assicurato. «Se riapre quell’azienda ci sarà futuro per l’area matesina, altrimenti no. Quindi quello che mi auguro è che riapra subito, il prima possibile», conclude Russo.
Ieri pomeriggio, intanto, il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità la legge che autorizza Finmolise ad anticipare alla Gam la quota del Tfr per i dipendenti in cassa integrazione straordinaria (in totale circa 430mila euro). La somma sarà poi restituita dall’Inps. La misura, che la Gam non può sostenere in autonomia poiché in concordato, è comunque essenziale per l’accesso ad un eventuale altro anno di cassa straordinaria che dovrà comunque essere autorizzato da un provvedimento del governo nazionale. r.i.

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