In 54, fra ex consiglieri regionali ed eredi, allora non la presero affatto bene: per loro quella legge – che definiva una riduzione temporanea dei vitalizi, diretti e di reversibilità – gridava vendetta. E così nel 2016 avanzarono ricorso contro la Regione Molise ‘responsabile’ di aver deciso di ridurre i loro assegni mensili. Il vitalizio non è intoccabile, però: lo ha stabilito il Tribunale di Campobasso che ha rigettato il ricorso e condannato i 54 alle spese. Tremila euro più oneri vari da divedere fra tutti i ricorrenti, somma alla quale aggiungere l’onorario dell’avvocato Franco Mancini. Con lui, in prima battuta, l’avvocato Cianci, da poco scomparso.
Istanza rigettata, quindi e ricorrenti condannati al pagamento in favore della Regione Molise delle spese di lite. Fra i nomi dei firmatari del ricorso spiccano quelli di Gasperino Di Lisa (presidente dell’associazione degli ex consiglieri regionali), Alfredo D’Ambrosio, Emilio Orlando, Enrico Santoro, Mario Verrecchia, Nicola D’Ascanio, Antonio Di Rocco, Nicola Iacobacci, Antonio Del Torto, Giuseppe Gallo, Michele Pangia, Giuseppe Caterina, Pasquale Di Lena, Angelo Di Stefano, Giuseppe Di Fabio, Pietro Pasquale, Antonio Incollingo, Filoteo Di Sandro, Antonino Sozio, Michele Picciano, Luigi Velardi, i due Di Giandomenico, Giovanni e Remo, Paolo Nuvoli e Natalino Paone,
Il casus belli esplode sulla scia di quanto accaduto in Consiglio regionale il 18 aprile del 2014, governo a trazione centrosinistra e presidente Paolo di Laura Frattura. L’Aula approva la Finanziaria: all’articolo 9 la predisposizione riguardante gli assegni vitalizi, derubricata in “Ulteriori interventi per la riduzione dei costi della politica”. In pratica, nella normativa si dispone che per otto mesi, dal primo maggio al 31 dicembre del 2014, gli assegni vitalizi diretti e di reversibilità sono ridotti del 10% per l’importo lordo – fino a 3mila euro – e del 20% per l’eccedenza. In 54, fra ex consiglieri ed eredi di esponenti istituzionali che incassano il vitalizio, decidono di adire le vie legali: ricordano, nel ricorso, che la normativa di specie taglia solo i vitalizi e non gli assegni mensili degli inquilini di Palazzo d’Aimmo (in verità già ridotte ugualmente). Una violazione della Costituzione – la sintesi – senza dimenticare che, a loro dire, la Regione non avrebbe nemmeno potuto occuparsi del caso in oggetto poiché la riduzione riguarda solo gli ex non più in carica, per i quali ci sarebbe solo la legislazione esecutiva statale.
E poi, il vitalizio – questa la tesi sostenuta con forza – rientra nella previdenza complementare su cui la Regione ha potestà legislativa concorrente. Esistono diritti intangibili e afferenti al principio di irripetibilità di quanto già versato a titolo di vitalizio. Si rimanda al principio della irretroattività, alla violazione presunta dell’articolo 2 della legge 174 del 2012 che prevedeva che i vitalizi in corso non avrebbero poi potuto essere modificati per almeno tre anni. I ricorrenti, quindi, chiedono la disapplicazione della Finanziaria del 2014, l’affermazione del diritto a percepire il vitalizio nella misura originaria e la condanna della Regione Molise alla restituzione delle somme trattenute. C’è da dire – come lo stesso giudice sottolinea – che il Governo, allora, non impugnò la legge 11 del 2014, quindi nulla questio. A sua volta, poi, la Regione, citata in giudizio, ha eccepito che il vitalizio non è una prestazione previdenziale e che con l’articolo 9 – quello che ha fatto andare su tutte le furie gli ex – non si è di certo eliminato l’assegno mensile ma si è disposta una riduzione, tra l’altro per un tempo limitato. Per il giudice monocratico del Lavoro, che ha affrontato la questione, il ricorso è infondato e non ricorrono i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale, come invece richiesto. Soprattutto alla luce di una sentenza analoga, che coinvolge il Trentino Alto Adige che ha adottato una normativa molto simile a quella che ha scatenato il maxi ricorso. La Corte Costituzionale, proprio in merito a quel caso, ha stabilito che la materia del contendere – la riduzione del vitalizio consiliare in godimento – rientra nella competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria. Che quell’assegno non ha natura pensionistica e che la legge regionale può essere anche retroattiva nel caso in cui tuteli le esigenze di finanza pubblica e garantisca una maggiore equità. Perché la normativa ha come obiettivo ricondurre a criteri di equità e ragionevolezza gli “assai favorevoli” – scrive proprio così la Corte Costituzionale per il caso davvero simile del Trentino Alto Adige – meccanismi di calcolo dell’attualizzazione degli assegni vitalizi e provvedere al “contenimento della spesa pubblica”. Si chiarisce poi un passaggio rilevante: nel nostro sistema costituzionale, si legge nella sentenza, non è affatto interdetto al legislatore emanare disposizioni che vadano a modificare – in senso sfavorevole per i beneficiari – la disciplina dei rapporti di durata anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale). Unica condizione essenziale è che tali disposizioni “non trasmodino in un regolamento irrazionale”. Per il giudice del Tribunale di Campobasso, il principio di eguaglianza e ragionevolezza viene garantito dal carattere temporaneo della misura (soli 8 mesi, dal primo maggio al 31 dicembre 2014), dal fatto che incide su una categoria limitata di soggetti (gli ex consiglieri percettori del vitalizio) e che non configura una misura discriminatoria visto che “quando il trattamento in essere configura una condizione di favore, che non può non essere riconosciuta alla misura del vitalizio, l’intervento riduttivo può ritenersi del tutto ammissibile in quanto rispondente ad esigenze di eguaglianza sostanziale e solidarietà sociale”. Quindi, il legislatore regionale – con gli obiettivi della riduzione dei costi della politica, del contenimento della spesa pubblica e della tutela delle finanze regionali, intervenendo nel rispetto del principio di proporzionalità – si è limitato a ridurre un’indennità per un periodo determinato con legge, in misura “progressiva e indubbiamente sopportabile”.
Il caso è chiuso, forse.

ppm

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